Sherlock Holmes: Gioco di Ombre - la recensione

Se il primo Sherlock Holmes era stato una piacevole sorpresa, Gioco di Ombre si rivela migliore del precedente sotto diversi punti di vista...

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Quando due anni fa uscì al cinema Sherlock Holmes in molti rimasero favorevolmente colpiti da questa rilettura altamente stilizzata del detective creato da Sir Arthur Conan Doyle e portata sul grande schermo da Guy Ritchie. Il film aveva sì diversi difetti, ma conteneva buone dosi di energia e originalità che, mescolate con un ottimo cast e una storia coinvolgente, lo hanno trasformato nell'evento del Natale 2009 nonostante l'uscita di Avatar.

Spesso i secondi episodi falliscono nel tentativo di riproporre quello che aveva reso vincente il film originale, limitandosi a un "more of the same" che poi finisce per annoiare. Non è il caso di Sherlock Holmes: Gioco di Ombre, che certo non è un capolavoro ma riesce a essere migliore del primo film sotto diversi aspetti.

Innanzitutto, quello della storia: in questo secondo film troviamo Holmes e Watson di nuovo insieme per un'ultima missione che li trascinerà in giro per l'Europa assieme a una zingara in un gioco al gatto e al topo con il perfido Moriarty. Chi non aveva accettato l'Holmes postmoderno reinterpretato da Robert Downey Jr. qui troverà forse qualche citazione dei romanzi originali in più, ma sostanzialmente l'universo è lo stesso del primo episodio e difficilmente soddisferà chi non aveva amato il primo film. Questo, tuttavia, è anche il vantaggio con cui sono partiti i due nuovi sceneggiatori Kieran e Michele Mulroney, che hanno sviluppato questa avventura (perfettamente indipendente e autoconclusiva, nonostante i legami diretti con il film precedente) senza doversi preoccupare di presentare i personaggi e il contesto. Ciò gli ha permesso di lavorare maggiormente sulle dinamiche e la "chimica" tra Holmes e Watson, il carburante che alimenta l'intero motore del film e che è responsabile di alcune delle scene più divertenti (oltre a una buona dose di doppi sensi, memorabile l'episodio di travestitismo sul treno). Un merito che va anche all'accoppiata Robert Downey Jr. - Jude Law, in grado di creare due personaggi perfettamente complementari, diversi tra loro eppure bilanciati.

La scintilla che fa scatenare l'intera vicenda di questo episodio è il crudele Moriarty, interpretato da un enigmatico Jared Harris che rappresenta una pericolosa controparte per Holmes non solo sul piano strategico, ma anche su quello intellettuale e su quello più squisitamente... fisico. Questo Moriarty è quasi un villain alla James Bond (l'intero film, con il suo tour europeo tra fabbriche di armi e folli piani di distruzione e dominio globale, ricorda molto certe avventure di 007), molto più efficace del cattivo del primo episodio e anche molto più affascinante. Ciliegina sulla torta, un altro casting perfetto: Stephen Fry nei panni di Mycroft Holmes (traa lui e Kelly Reilly una delle battute più belle dell'intero film: "Io sono l'altro Holmes" "ce n'è un altro?!"), fratello superintelligente e acuto di Sherlock a cui è affidata una parte di contorno divertente e utile ai fini della storia. Sì, c'è anche Noomi Rapace nella sua prima parte in un film in lingua inglese, ma nonostante il suo personaggio risulti essere uno dei comprimari fatica a emergere tra due protagonisti così centrali, e così l'ex Lisbeth Salander finisce per apparire un po' troppo compressa (colpa della sceneggiatura più che dell'interpretazione).

 

L'altro piano su cui Sherlock Holmes: Gioco di Ombre è migliore del primo episodio è quello prettamente tecnico. Al di là delle ricchissime e meticolose ricostruzioni di un'Europa vittoriana dai toni steampunk (le prime luci elettriche, il primo autoveicolo), della sempre splendida fotografia di Philippe Rousselot e della colonna sonora di Hans Zimmer (reminiscente, in alcuni passaggi, di Inception e Il Cavaliere Oscuro), questa volta gli effetti visivi sono stati curati molto meglio (in particolare i fondali). Tre le sequenze d'azione davvero spettacolari: quella nel club, quella sul treno e una lunghissima scena in un bosco che lascia a bocca aperta soprattutto per come Guy Ritchie riesce a gestire l'azione con un montaggio serratissimo ma mai confusionario.

E' infine proprio lo stile di Ritchie a essersi affinato: meno fine a se stesso e più funzionale alla storia (soprattutto l'ormai celebre "Holmes-O-Vision", che qui subirà delle intriganti variazioni), riesce a rendere scorrevole e godibile quello che sulla carta vuole essere un grande film di intrattenimento. E sullo schermo ci riesce.

 
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