[Roma 2012] Spose celestiali dei mari di pianura, la recensione

Girato subito dopo il piccolo grande successo di Silent Souls, questo lavoro conferma il talento visivo e narrativo di Fedorchenko. 23 episodi di sesso, magia e potere femminile...

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Chi lo dice che il cinema d'autore a volte non possa comportarsi come il più cinico dei franchise?

Capita al brillante regista russo Aleksei Fedorchenko, reduce dal successone d'essai Silent Souls, premiato con la Miglior Fotografia a Venezia 2010.

Mari che vincono non si cambiano e visto l'apprezzamento internazionale per il recupero delle tradizioni culturali del popolo mezzo scomparso dei Mari (europa centrale, tra Russia e Finlandia) attraverso Silent Souls (era uno dei temi cardine), Fedorchenko batte il ferro finché è caldo realizzando l'adorabile Le spose celesti, in Concorso qui a Roma. Roger Corman avrebbe apprezzato l'acume produttivo.

23 storie di giovani sposine il cui nome comincia con la O (Okalche, Oshalge, Ochina, Oshtilech, etc) alle prese con la propria soddisfazione familiare ovvero un equilibrato, e sessualmente abbondante, rapporto con il proprio marito. Dopo Mental, ecco un altro film presentato a Roma dove l'ottica femminile è predominante.
In questo caso è la fiaba la cornice narrativa dentro la quale Fedorchenko decide di racchiudere I suoi ventitre raccontini, tutti infarciti di magie, demonietti, incantesimi e riti tragicomici che vedono per protagonista la comunità Mari. Le donne vogliono essere prese più che comprese (copyright Tinto Brass, che apprezzerebbe assai il film dal punto di vista filosofico), gli uomini ci danno sotto con l'alcol un po' troppo.
Le avventure fantasy sono il giusto mezzo per ritrovare l'equilibrio.

Cosa ci ricorda questo film leggero e divertente? Il Pasolini solare de Il fiore delle mille e una notte.
Se trova la Giuria garrula al punto giusto, Fedorchenko esce da questo Festival con un premio che conta.
A quel punto farà un terzo film sui Mari in attesa che prima o poi si prosciugheranno del tutto?

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