L'Uomo d'Acciaio, la recensione

Snyder, Goyer e Nolan riportano al cinema Superman stravolgendo il canone: un'operazione riuscita e di forte impatto, anche se non priva di difetti...

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Come tutti sanno, Superman di Richard Donner (1978) è considerato il padre dei cinecomic, un filone che negli ultimi dieci anni - complici gli avanzamenti tecnologici - è diventato sempre più prolifico fino alla situazione attuale che vede un colossale progetto a lungo termine come quello dei Marvel Studios da una parte, e una serie di prodotti, alcuni di altissimo livello (la trilogia del Cavaliere Oscuro) e altri di livello piuttosto scarso (Lanterna Verde), basati sui fumetti della DC Comics di proprietà della Warner Bros. In mezzo, troviamo franchise di grande successo come X-Men, Spider-Man e adattamenti di fumetti minori.

In questo contesto, era impensabile che la Warner Bros. decidesse di mettere da parte i diritti di Superman (in pericolo durante una causa decennale conclusasi da poco), a sua volta il Padre dei supereroi, dopo i risultati insoddisfacenti del reboot diretto da Bryan Singer sette anni fa. Superman Returns, apprezzato da alcuni e odiatissimo da altri, era una sorta di omaggio ai film di Richard Donner e all'icona classica del figlio di Krypton, un progetto che portava sulle spalle un budget gonfiato da anni di false partenze e l'incapacità di attualizzare un supereroe che, nel mondo post-11 settembre, era diventato tremendamente vecchio.

L'unica soluzione era affidare il reboot al team che aveva ridato vita a un altro supereroe della DC Comics caduto nell'oblio, Batman, ovvero lo sceneggiatore David S. Goyer, il produttore Christopher Nolan, la Legendary Pictures (e l'inevitabile Hans Zimmer). Alla guida di un progetto considerato da molti fallimentare in partenza è stato messo Zack Snyder, già regista di un film impossibile come Watchmen (peraltro un flop commerciale, come il suo film successivo, Sucker Punch). Obiettivo: non solo dare nuova vita e vigore a Superman, ma creare le basi per un universo condiviso tra più supereroi DC al cinema.

Questa la premessa, doverosissima, da fare prima di parlare dell'Uomo d'Acciaio, che già dal titolo lascia intuire qual è stato l'approccio dei realizzatori in questa missione (quasi) impossibile. Togliere dall'equazione Superman, il canone originale, l'ombra di Richard Donner che aveva trasformato Superman Returns in una operazione nostalgia (pur colossale e ambiziosa). E per farlo, Goyer e Nolan (che hanno sviluppato insieme l'idea alla base del film) hanno fatto l'unica cosa che si poteva fare: raccontare una storia profondamente fantascientifica, la storia di un alieno e della sua gente destinata a sparire dall'Universo, la storia della sua difficile integrazione tra gli umani e il suo viaggio alla scoperta di sè e del suo ruolo sulla Terra.

Certo, i riferimenti alla saga a fumetti (e ad altri fumetti DC, proprio per spianare la strada a futuri crossover) ci sono, ma è la natura stessa del supereroe a essere qui meno scontata: L'Uomo d'Acciaio non è un adattamento, ma la reinvenzione di un personaggio che, nel bene o nel male, di attuale non ha quasi nulla (almeno per il pubblico cinematografico generalista moderno, che poi è quello che ripaga un budget di oltre 200 milioni di dollari). Una reinvenzione che potrebbe non piacere ai fan, ma che funziona incredibilmente meglio al cinema. Detto questo, è anche una operazione piuttosto furba: L'Uomo d'Acciaio è un film di origini, e rinvia a un eventuale sequel il compito (molto difficile) di trattare tutta una serie di elementi che, in un modo o nell'altro, dovranno comunque emergere (il riferimento è in particolare alla scena finale, nella quale si accenna al dualismo che caratterizza il protagonista).

Quello che convince di questo kolossal è, come detto, l'impianto profondamente fantascientifico, il cast in generale (in particolare l'ottimo Michael Shannon, villain determinato e inflessibile) e i toni inaspettatamente realistici cupi con cui Zack Snyder decide di raccontare una storia densissima ma gestita bene grazie a un approccio non lineare (scelta interessante trattandosi di un film di origini).

E' la sceneggiatura, invece, che convince meno. Troppa la carne al fuoco: oltre al tema principale, ovvero il fatto che Kal-El debba aspettare il momento giusto per mostrarsi al mondo, sono tante le problematiche (anche importanti) sollevate. Si va dall'eugenetica allo scontro tra nature e ideali diversi, all'incontro con civiltà aliene, a riferimenti cristologici piuttosto inutili (per non parlare di Matrix), all'etica del sacrificio, al concetto di speranza, a una riflessione sull'emarginazione, nessuna realmente approfondita. Per dipanare questa matassa Goyer finisce per ricorrere saltuariamente a momenti di exposition e i dialoghi finiscono per non essere sempre all'altezza.
 

Questo comunque non scalfisce un impianto molto solido basato prevalentemente sull'azione e sui toni epici. Il risultato si vede sullo schermo, soprattutto nell'ultimo atto, durante il quale assistiamo a un colossale e devastante (soprattutto per i cittadini di Metropolis) scontro che ad alcuni ricorderà The Avengers (e le cui conseguenze - ci aspettiamo, almeno per rispetto nei confronti del realismo cercato dal regista - si faranno sentire soprattutto nel sequel).

Gli spunti interessanti messi sullo schermo da Snyder, anche dal punto di vista della mera messa in scena, sono parecchi: con i moderni effetti visivi non è difficile credere che un uomo possa volare, ma la prima scena di volo di Superman è da mozzare il fiato. Stesso dicasi per la battaglia di Smallville, nella quale Kal-El si scontra per la prima volta con i suoi simili, o ancora per il suggestivo prologo su Krypton, o le numerose parentesi sul passato del giovane ed emarginato protagonista. Tra tutti, l'aspetto più intrigante è quello di un Clark Kent vagabondo che si trova per caso a salvare persone in difficoltà: una rielaborazione di una idea, quella del trovarsi sempre nel posto giusto al momento giusto, che già in Superman Returns non funzionava più. Peccato solo che, per come è stato impostato il finale, probabilmente questa idea non verrà portata avanti.

Ed è proprio l'annunciato sequel quello su cui pesa la responsabilità più grande, paradossalmente. Perché se L'Uomo d'Acciaio è riuscito nel compito di rilanciare un supereroe che ormai stava finendo nel dimenticatoio, il suo successore dovrà portare a compimento il processo di trasformazione in un eroe moderno, raccogliendo alcuni degli spunti solo accennati nel primo film.

Postilla sul 3D:
Il film è stato riconvertito molto bene in 3D (sempre che lo vediate in un cinema nel quale sapete che il 3D viene proiettato bene) e uscirà anche nelle due sale Digital IMAX presenti in Italia (UCI Pioltello e, per la prima volta, Skyline di Sesto San Giovanni, entrambi a Milano). La Warner Bros. ha proposto alla stampa la proiezione sia in 2D che in 3D, e noi abbiamo scelto di vederlo in 3D proprio per analizzare la conversione. Purtroppo però questo formato tradisce la visione del regista Zack Snyder, che ha girato in pellicola 2D, spesso con cinepresa a mano e shaky cam, che non si sposa bene con il 3D.

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