L'Altra Faccia del Diavolo - La Recensione
Il found footage di William Brent Bell ripete, in chiave minore, il succeso commerciale della saga di Paranormal Activity, ma le similitudini si fermano qua...
Il genere del found footage sta trovando sempre più una sua grammatica ben delineata, che fa leva su un elemento ben preciso che tende a riproporsi in maniera programmatica; una reiterazione che avviene a prescindere dal sottogenere, commedia piuttosto che horror, cui il titolo in questione appartiene. Parliamo di quella dimensione interattiva, ludica che si va a creare fra gli utenti e quello che circonda il film stesso, ovvero sia il cosiddetto marketing virale.
Ma quando si parla, appunto, di opere found footage, questo confine tende ad assottigliarsi ancor più: molto spesso, con la complicità delle riprese “finto amatoriali” e di un cast formato da perfetti sconosciuti, tutta la comunicazione che rotea attorno a questi film crea, sostanzialmente, una perfetta aderenza fra le vite dentro e fuori lo schermo.
Contrariamente a un altro recente successo horror made in Paramount, il terzo capitolo della saga di Paranormal Activity recensito su queste pagine in maniera decisamente lusinghiera, all'azzeccata operazione di comunicazione virale non fa da contrappeso una realizzazione artistica altrettanto efficace. L'Altra faccia del Diavolo fa cilecca da diversi punti di vista. Tanto per cominciare, il macguffin che muove buona parte della vicenda – due giovani preti che sfidano con la loro intraprendenza le gerarchie vaticane troppo ingessate in materia di esorcismi con la complicità di Isabella Rossi– getta un'inaspettata autorevolezza sopra tutta la filmografia tratta dalle opere di Dan Brown. Ma pur concedendo tutte le giustificazioni narrative del caso, alla fine stiamo pur sempre parlando di un film basato su eventi fittizi proposti come “plausibili”, sono proprio la regia della pellicola e la recitazione degli interpreti a lasciare interdetti. Le performance degli attori non riescono a trasmettere quella sensazione di “concretezza” che arriva da altri film found footage, come il già citato Paranormal Activity, mentre il polso di William Brent Bell, si limita esclusivamente a indulgere in tutti i cliché del genere “demoniaco”. Recentemente, una pellicola come The Woman in Black, ha mostrato che non c'è nulla di negativo nel basare una storia horror sul percorrere terreni già ampliamente battuti negli anni, ma il riuscire a dare vita a una pellicola ben riuscita che poggia le sue basi su stilemi ben conosciuti è un'operazione che si basa su un'oculata opera di amalgama degli stessi. L'Altra Faccia del Diavolo è tutto un susseguirsi di situazioni del tutto prevedibili – indemoniati che si contorcono in maniera innaturale mentre parlano in dieci lingue diverse – tenuti in pedi da un plot del tutto improbabile che mischia insieme (male) scienza e religione. Senza, peraltro, regalare nessuno spavento. Tutto si trascina in avanti in maniera noiosa, fino a culminare in un finale che pare nato da un brainstorming all'insegna della più totale mancanza d'idee.
Se c'è un fattore decisamente interessante di The Devil Inside, è di matrice “sociologica” piuttosto che prettamente cinematografica. Il ritorno in auge del cinema a base di possessioni può essere, scolasticamente, fissarto al 2005, anno di uscita del riuscito The Exorcism of Emily Rose di Scott Derrickson. L'Altra faccia del Diavolo s'inserisce a pieno titolo in un filone cinematografico che fa leva sulla volontà di recupero della religione e spiritualità, seppur attraverso la raffigurazione dei pericoli del Maligno. Sia che si tratti di Insidious, piuttosto che di Paranormal Activity, dietro le minacce che affliggono i più o meno scettici protagonisti delle varie storie, non c'è un boogeyman qualsiasi, ma il male nella sua accezione più autentica.
Ma non è con le considerazioni di natura sociale che si decreta la riuscita, o meno di una pellicola.