Paranormal Activity 3 - La recensione

Le inquietanti attività paranormali arrivano al terzo appuntamento: una ricetta collaudata che, nelle mani di Ariel Schulman ed Henry Joost, da vita al miglior capitolo della saga...

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Il genere cinematografico del found footage, convenzionalmente inaugurato da Cannibal Holocaust di Ruggero Deodato nel 1980, è ora entrato nel pieno della sua maturità, con il prezioso spalleggiamento dei vari espedienti di comunicazione e marketing virali offerti dal web. In linea di massima questo particolare filone, viene sfruttato principalmente dalla fantascienza e dall'horror, con alcune rare eccezioni come Redacted di Brian De Palma, incentrato sui crimini perpetrati da alcuni soldati americani durante l'invasione dell'Iraq.

Basta un'occhiata superficiale agli incassi per constatare come quella di Paranormal Activity sia la serie più commercialmente solida di questa corrente cinematografica. Iniziata nel 2007 con un film autofinanziato da un ex programmatore di videogiochi, Oren Peli, distribuito letteralmente a mano nel circuito dei festival horror americani per poi finire acquistato e diffuso nei cinema da un colosso come la Paramount, il franchise è ormai diventato un appuntamento annuale giunto ora al terzo appuntamento; come se non bastasse poi Peli, fino a qualche anno fa del tutto estraneo al mondo dell'industria hollywoodiana, si è ritagliato uno spazio di un certo peso nell'ambito del cinema di genere rilanciando un'idea produttiva basata su un tipo di cinema classico, fatto di atmosfere inquietanti in cui la paura si basa tutta sul gioco del vedo-non vedo e sulla capacità di sfruttare efficacemente questo trucco, vecchio come la stessa settima arte, con pellicole dal budget risicato e dai notevoli riscontri di pubblico, come per esempio Insidious di James Wan che trovate già recensito sulle nostre pagine.

Paranormal Activity 3, diretto dal duo di registi del documentario Catfish Ariel Schulman ed Henry Joost, esplora le origini dell'inquietante maledizione che, da quasi vent'anni, insegue le sorelle Katie (Katie Featherstone) e Kristy (Sprague Grayden), andando a raccontare in presa diretta gli eventi accaduti alle due nel 1988, quando erano ancora delle bambine. Facciamo subito una premessa: se già di regola, quando ci troviamo alle prese con un found footage movie spesso dobbiamo, malgrado la pretesa di realismo propugnata dal genere, effettuare un “salto di fede” iniziale ed evitare di porci domande sull'eventuale incongruenza che nasce dall'osservare qualcosa che è stato ritrovato e che arriva ai nostri ochi con tanto di stacchi di montaggio fra i diversi punti di vista delle telecamere coinvolte, a questo film dobbiamo concedere un minimo di ulteriore benevolenza iniziale.

Se, oggigiorno, il poter fare delle riprese decenti è alla portata di chiunque grazie al più scrauso degli smartphone, negli anni'80 le cose erano un po' differenti, complicate e ingombranti. Sul fatto che il compagno della mamma di Katie e Kristy, Dennis, sia un video operatore dotato di telecamere e saletta di montaggio ricavata in garage e abbia già, in anni in cui youtube era fantascienza, la mania di riprendere tutto quello che accade dentro casa, bisogna necessariamente soprassedere. Malgrado l'evidente forzatura, si tratta di un metodo per mantenere il trait d'union stilistico della saga. Come da prassi, Paranormal Activity 3, per tutto il primo atto, ci rende partecipi della vita di quella che, in apparenza, pare la più classica delle allegre famigliole americane. L'ambientazione è quella degli anni ottanta delle macchine fotografiche polaroid, delle vhs, dei televisori a tubo catodico, dei pantaloni portati un po' troppo sopra la vita e dei telefoni cordless con antenne telescopiche talmente lunghe che sarebbero andate bene per cuocere un maialino allo spiedo. Poi però, come da copione, qualcosa di strano comincia ad accadere: vengono avvertiti sempre più spesso degli strani rumori e una delle bambine comincia a parlare di un amico invisibile di nome Toby. Dennis decide quindi di piazzare le sue telecamere in giro per casa per registrare le eventuali tracce di attività paranormale che iniziano a verificarsi con sempre maggiore frequenza.

Considerato che Oren Peli, qua nel ruolo di produttore e supervisore creativo, proviene dal mondo dei videogame, la cosa più curiosa da notare riguardo questo Paranormal Activity 3 è il suo collegarsi in maniera diretta ad una prassi molto in voga nell'industria dell'intrattenimento interattivo: quella di “more of the same”, una maggiore quantità degli stessi ingredienti vincenti che hanno garantito il successo di un franchise. La ripetitività seriale è poi, da sempre, un marchio di fabbrica del cinema horror che ben si sposa col concetto di cui sopra. Il film di Schulman e Joost infatti è un netto passo avanti rispetto al secondo episodio e va a colmare in maniera molto intelligente quei buchi narrativi lasciati scoperti dai precedenti capitoli: la storia delle due sorelle viene approfondita e avremo modo di scoprire diversi inquietanti retroscena.

Il duo di registi costruisce il crescendo narrativo con mano sicura. La prima parte, quella più prettamente espositiva, scorre via con una certa lentezza e monotonia, rendendo ancora più incisivi gli sporadici eventi soprannaturali ripresi dalle telecamere. I due vogliono giocare sporco e riescono a farlo davvero bene, aiutati da un effetto sorpresa minimamente intaccato dalla diffusione dei vari video promozionali del film: le immagini che abbiamo visto on-line e in tv nel corso di questi mesi sono state del tutto tagliate fuori dal montaggio finale. La tensione è costante, lo spettatore sa che in ogni momento può accadere qualcosa di terrificante solo per rendersi poi conto che, da qualche parte nella stanza ripresa in quel particolare attimo, c'è già qualcosa che non va, come in una variante perversa di un gioco illustrato in stile aguzzate la vista. Tutto prosegue all'insegna di questo caccia al topo in cui lo spettatore è vittima inerme e dove la visione, già normalmente assoggetata in un film alle soluzioni narrative adoperate dal regista, diventa ancora più castrante: saremo prigionieri di campi medi statici, di opprimenti panoramiche che spaziano dal salotto alla cucina della casa infestata, delle soggetive “esplorative” di Dennis. E la paura nascerà, molto spesso, dal fuori campo, da ciò che non vediamo e possiamo, magari, solo udire grazie ad un utilizzo realmente appropriato degli effetti sonori.

Come se tutto questo non bastasse, il segmento finale del film, che fornirà molte risposte alle domande che tutti ci siamo posti dopo aver visto Paranormal Activity 1&2, metterà a dura prova le coronarie del pubblico. Ariel Schulman ed Henry Joost trascinano di peso lo spettatore in una soggettiva difficile da sopportare senza avere la tentazione di mettersi le mani davanti agli occhi o di strappare il bracciolo della poltroncina del cinema in cui le unghie saranno ormai penetrate in profondità. Naturalmente non possiamo spiegarvi il perché o il come questo possa avvenire; nonostante la soggettività di una sensazione come la paura, se riuscirete a restare impassibili di fronte ai dieci minuti più agghiaccianti degli ultimi anni di cinema horror, vi meritate i nostri più sinceri complimenti.

Non sappiamo ancora se l'appuntamento con Paranormal Activity verrà rinnovato il prossimo anno. Come ha suggerito lo stesso Oren Peli, dipende tutto dall'accoglienza che il pubblico riserverà a questo terzo episodio (ma le premesse paiono esserci). Un terzo episodio che, all'insegna del già citato “more of the same” prende una ricetta ormai collaudata, espandendola sia per quanto riguarda le possibilità di venir colti da infarto nel buio della sala cinematografica, sia dal punto di vista narrativo. La “mitologia” di Paranormal Activity viene estesa ed analizzata con intelligenza e coerenza tanto che questo film può essere eletto come il migliore della trilogia. Quanto al resto, fateci sapere se, una volta tornati dal cinema, vi siete messi ad ispezionare i quadri di casa....

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