Chronicle, la recensione
Gli esordienti Josh Trank e Max Landis affrontano il tema supereroistico con un mockumentario che, seppur non originalissimo, risulta appassionante e coerente con se stesso...
Per anni siamo stati abituati a pensare che un uomo comune, messo di fronte alle grandi responsabilità che nascono dai superpoteri che ha ricevuto in dono in maniera più o meno fortuita, sia capace di accettare di buon grado il peso che consegue da tutto ciò. Decenni di fumetti supereroistici ci hanno insegnato questo. Il bene stava da una parte. Il male dall'altra. Puoi essere un ragazzino sfigato che non ha una ragazza neanche pagandola a peso d'oro che si ritrova ad avere i poteri di un ragno radioattivo – o geneticamente modificato a seconda – o un orfano inteplanetario atterrato nei campi di granturco di Smallville, ma la sostanza è sempre quella. Le sfumature stavano altrove.
Da un certo punto di vista, non c'è nulla di particolarmente originale nella storia di questi tre giovani americani. Lo sfigatissimo sociopatico con madre morente, malata di cancro e questioni paterne irrisolte Andrew Detmer (Dane DeHaan) e i suoi compari, suo cugino Matt (Alex Russell) e Steve (Michael B. Jordan), il popolarissimo quarteback della scuola, una figura leggendaria per ogni High School americana che si rispetti. Questo mal assortito trio si ritrova investito di una strana forza dopo aver trovato “qualcosa” in un tunnel sotterraneo, un potere che li rende superumani, interconnettendo in maniera drastica le loro esistenze.
Non è tanto il tema alla base della sceneggiatura del figlio d'arte Max Landis a stupire, quanto la coerenza stilistica e narrativa che reggono insieme questo mockumentario in stile found footage. Una questione di collante di regia e script.
Tanto per cominciare, la sospensione dell'incredulità viene affrontata a viso aperto e con una grande scaltrezza. Già perché il salto più arduo che viene richiesto allo spettatore che si trova di fronte a una pellicola in cui le riprese vengono fatte dagli stessi protagonisti – il riuscire a giustificare in modo plausibile l'ossessione dei personaggi della storia verso il continuo documentare quello che accade - viene dribblato con una mossa estremamente intelligente. Andrew viene raffigurato da subito come il più classico looser americano; un ragazzo che se ne va perennemente in giro con una videocamera e che riesce ad intranere un minimo rapporto umano solo con suo cugino Matt. Un tizio capace di trasformare in un vincente "ultra-cool" il protagonista della canzone di Beck. Una volta ricevuti i poteri telecinetici decide, in maniera volontaria, di imparare a manovrare con le sue facoltà parapsichiche la videocamera per riprendere costantemente lui e i suoi “amici”. Espediente, questo, che troverà un riscontro decisamente efficace nelle scene più spettacolari di Chronicle in cui la moltiplicazione dei punti di vista della regia avviene in modo più organico di quanto non accadesse in un altro fondamentale sci-fi mocumentaristico degli ultimi anni, District 9, in cui i vari contributi dei notiziari, delle videocamere di sicurezza venivano spezzati dall'occhio onniscente del regista creando un forte contrasto stilistico.
Coerenza si diceva poc'anzi.
Matt, Alex e Andrew sono tre adolescenti perfettamente credibili. Dei perfetti cazzoni, se vogliamo parlare senza peli sulla lingua. Solo le loro performance in stile “jackass” immortalate sulla memoria digitale della macchina da presa vanno un po'oltre quelle che notoriamente siamo soliti vedere su youtube dai nostri smartphone o dai nostri pc. Forse, al giorno d'oggi, Superman utilizzerebbe davvero i suoi poteri per spaventare i clienti di un ingrosso di giocattoli, piuttosto che per sventare la rapina che accade all'altro lato della strada, oppure sfiderebbe apertamente gente come Johnny Knoxville, Steve-O e Wee Man.
Il cuore di tenebra del giovane Andrew, vero protagonista della storia, viene raccontato senza cadere in facili pietismi, nonostante i luoghi comuni elencati prima, e lo spettatore viene messo di fronte a un sentimento constrastante di empatia e disprezzo. Non è un caso che, seppur il nome di Friedrich Wilhelm Nietzsche non venga mai effettivamente tirato in ballo, l'evoluzione psicologica del ragazzo presenti degli inquietanti punti di contatto con l'affermazione di se stesso tipica dell'oltreuomo. Andrew non pensa di fare del male. E' convinto di aver portato il genere umano a un altro stadio fino a un climax in cui il pensiero del filosofo tedesco s'incontra col delirio d'onnipotenza del Tetsuo di otomiana memoria.
La coerenza di Chronicle viene anche supportata dalle notevoli performance dei tre, sostanzialmente sconosciuti, protagonisti, su tutte quella di Dane DeHaan che pare una sorta di figlio illegittimo di Leonardo DiCaprio e Brainiac. A livello visivo, ci limitiamo a dire che Josh Trank ha dimostrato di avere tutte le carte in regola per potersi mettere alle prese con pellicole dal budget di certo più consistente dei 15 milioni impiegati per raccontare la storia dei suoi tre atipici supereroi. Se siete fanatici di manga e anime nipponici, oltre a gradire i riferimenti consapevoli o inconsapevoli ad Akira, non potrete evitare di provare a immaginare come potrebbe essere un film di Dragon Ball diretto dal ventottenne filmmaker losangeliano.
Curiosa poi la strategia di marketing adottata dalla 20Th Century Fox per pubblicizzare il film. La dove altri mockumentary ricevono degli aggiornamenti virali quasi quotidiani che vanno avanti per mesi e mesi e non fanno altro che accrescere le aspettative del pubblico, per poi risolversi in cocenti delusioni, come nel recente caso dell'Altra Faccia del Diavolo, Chronicle ha fatto parlare di se con un teaser arrivato come un fulmine a ciel sereno e delle intelligenti, e non invasive, manovre virali che hanno alimentato il “buzz” culminato con il successo economico e critico ricevuto dalla pellicola.
Coerenza, prima di tutto.