Cloud Atlas. The End is the Beginning is the End

Cloud Atlas. Tre ore. Sei epoche. Tre registi. Un film destinato a essere amato o odiato

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The End is The Beginning is the End, il brano realizzato dagli Smashing Pumpkins per la colonna sonora di Batman & Robin è l'unica roba decente dell'agghiacciante film di Joel Schumacher.

Il suo titolo è anche decisamente appropriato per descrivere l'ultima opera dei fratelli Wachowski (più la non indifferente aggiunta di Tom Tykwer), quel Cloud Atlas che in molti, noi compresi, avevamo definito come “ambizioso”, magari in maniera azzardata, ben prima del suo arrivo nelle sale cinematografiche.

170 minuti di film in cui sei differenti storie ambientate in altrettante epoche vengono raccontate come se si trattasse di un unico grande tassello o, per usare una metafora presa di peso dalla pellicola, di tante piccole gocce che, tutte insieme, formano un oceano. Non è una roba che si vede abitualmente nei multisala e, a dire il vero, neanche in quelle sale ormai deputate alla proiezione di quelle pellicole lontane da certe dinamiche commerciali ormai ben consolidate.

Già sulla carta, Cloud Atlas aveva tutti i crismi per essere l'epigono moderno di quelle opere maestose, magniloquenti, imponenti e economicamente fallimentari in stile I Cancelli del Cielo di Michael Cimino o Blade Runner di Ridley Scott, figlie di un'epoca in cui il gradiente del pubblico delle “proiezioni test” di un film non avevano un ruolo così preponderante come oggi. Col lavoro che faccio e con le robe che mi capita di leggere, scrivere e ascoltare ho spesso il sentore che la confezione di un lungometraggio avvenga davvero con uno di quegli assurdi metodi che di tanto in tanto vengono mostrati negli episodi dei Simpson. Il pubblico se ne sta seduto a guardare una roba tenendo in mano una specie di buzzer come quello di Taboo, decretando quello che va o non va bene.

Eppure il cinema, nonostante le difficoltà di un'arte che può avere dei costi di realizzazione spropositati che devono venir recuperati tramite gli incassi, ha ancora bisogno di una cosa chiamata coraggio, produttivo e/o autoriale, per non dare vita a lavori che, come nel recente caso della parziale delusione di Lincoln di Steven Spielberg, navigano senza possibilità di uscita, di scampo, in un mare fatto di facili riconoscimenti critici e economici, e di un uso troppo spregiudicato della parola "capolavoro".

A Andy e Lana Wachowski (più Tom Tykwer) il coraggio non è mancato di certo. L'ultima volta che i due avevano consegnato un film alle sale, si trattava di quello Speed Racer che è piaciuto giusto a me e a altre 5 persone in tutto il mondo (e si tratta di una cifra stimata all'eccesso, probabilmente). Meglio evitare di parlare del perché io creda che quella pellicola sia un'opera talmente avanti nei tempi tanto da fare un giro completo e sorprendere i (pochi) spettatori alle spalle.

Fatto sta che al tempo pareva che tutti stessero aspettando “quelli che avevano fatto Matrix” col fucile spianato, pronti a far fuoco su due registi che, avendo attinto a piene mani agli ultimi ventanni di sci-fi e cyberpunk tanto occidentale quanto orientale, erano arrivati a condizionare l'estetica cinematografica con degli strascichi che si fanno sentire tutt'ora.

Nota di colore. Non era neanche del tutto chiaro se i due erano ancora fratelli o fratello e sorella. La stampa andava a nozze con la loro proverbiale riservatezza, con le voci riguardanti il cambio di sesso di Larry e la sua storia con la dominatrix Ilsa Strix.

cloud atlas

Adesso sappiamo che Larry è diventato Lana, i due si sono inaspettatamente gettati a capofitto nella promozione della loro nuova creazione tratta dall'omonimo romanzo e io, a un paio di mesi abbondanti di distanza dall'uscita americana, mi sono finalmente potuto gustare il loro film.

Che mi è piaciuto oltre il mero dato artistico, estetico.

Cloud Atlas ha agito a livello viscerale per il suo coraggio, per la sua ambizione, per la sua follia. Ma soprattutto per la sua sincerità e per la sua sostanziale semplicità. Perché le que quasi tre ore di durata, che sono passate nel proverbiale attimo, servono tutte a dipingere un affresco che afferma una sola, grande verità: la vita ti mette di fronte a mille sfide, mille traumi, mille incidenti di percorso. Ma anche ad altrettante possibilità che sta a noi saper cogliere perché ogni nostro singolo atto, ogni nostra singola scelta dà luogo a una infinita ramificazioni di variabili.

Ognuno di noi avrà un suo, personale percorso che, dal concepimento alla morte, porterà a connetterci, in maniera conscia o inconscia, a altre persone, a condizionare o a essere a nostra volta condizionati dalla relazione col prossimo. Perché a prescindere da come ognuno di noi la possa pensare su argomenti come l'immanenza o la trascendenza, l'esistenza o meno di un'intelligenza superiore, di una vita ultraterrena, facciamo tutti parte dello stesso “oceano” e la morte, malgrado il suo carico di tragicità e dolore, non può arrestare questo flusso (anzi, è una parte integrante del meccanismo).

Non ho letto l'opera da cui il film è stato tratto, ma guardando Cloud Atlas avevo una frase di Ogni Cosa è Illuminata di Jonathan Safran Foer che mi mulinava prepotente nella testa:

Ho riflettuto molto sulla nostra rigida ricerca, mi ha dimostrato come ogni cosa sia illuminata dalla luce del passato… dall'interno guarda l'esterno, come dici tu alla rovescia… in questo modo io sarò sempre lungo il fianco della tua vita e tu sarai sempre lungo il fianco della mia vita.

Frase che si adatta benissimo a questa magnifica opera corale in cui passato, presente e futuro estistono tutti nel medesimo istante con una coesione che oltrepassa la grammatica del “montaggio contemporaneo” di Speed Racer e in cui gli stacchi, i raccordi mettono in parallelo costante drammi, vissuti, accidenti di persone vissute nel 1800 con quelle degli abitanti di un futuro in cui si è sostanzialmente tornati alla preistoria.

Potrei davvero limitarmi a ripetere quanto detto da Francesco Alò nella videorecensione del film fatta insieme a Andrea Francesco, anche perché mi trovo in un età situata quasi nel mezzo di quella di Andrea e Francesco, che forse mi consente di assaporare il film con un palato abituato a diverse “concezioni” di cinema. Ho vissuto in maniera differente la transizione da "analogico a digitale". Uscito dal cinema avevo il cuore che traboccava di una vibrante gioia che non derivava dall'aver visto una favoletta accomodante e facile, in cui tutto va liscio come l'olio e alla fine tutti vivono felici e contenti. Ero felice perché per tre ore qualcuno aveva raccontato la vita senza peli sulla lingua. In Cloud Atlas si ride, ci si emoziona, ci s'incazza, ci si commuove. Si vedono attori truccati in maniera a volte improbabile che attraversano le ere cambiando sesso – l'ha fatto anche uno dei Wachowski nella vita vera, quindi cosa vieta a Halle Berry d'interpretare una donna bianca ed ebrea d'inizio novecento o a Ben Wishaw di recitare il ruolo di una moglie? – ci sono degli stacchi e dei segmenti talmente folli che non possono non richiamare alla mente quel capolavoro noto come Il Senso della Vita dei Monty Python – altra opera che in maniera analoga a questa “racconta” l'esistenza umana in maniera ironica e permeante – ci sono i richiami all'opera omnia dei tre registi artefici della pellicola (il regista di Lola Corre e gli autori di Matrix parevano destinati a incontrarsi. Vite che vengono in contatto fra loro, non posso fare a meno di parlare ancora di questo).

Con Cloud Atlas i Wachowski mettono da parte la freddezza ultra-cool degli abiti attillati di Matrix, del sincretismo fra immaginario pop occidentale e orientale infarcito di rimandi – scolastici – a pensatori come Jean Baudrillard, hanno definitivamente smesso di fare i film con la testa e hanno iniziato a farli col cuore.

E le sparatorie in bullet time sono state detronizzate dal sogno impossibile di due amanti che infrangono piatti, vasi, avvolti dai frantumi di un amore destinato, al contempo, a vivere e morire e vivere ancora.

The End is the Beginning is the End.

Ora dovrebbe essere più chiaro.

CLOUD ATLAS

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