Da Lost Heaven a New Bordeaux: l’America nella serie Mafia | Suggestioni Videoludiche

Il nuovo appuntamento di Suggestioni Virtuali ci porta a Lost Heaven, Empire Bay e New Bordeaux, le tre città simbolo della serie Mafia

Condividi

Con Mafia: Definitive Edition in dirittura d’arrivo, ci sembra opportuno dedicare questo nuovo appuntamento alle tre simboliche metropoli della serie Mafia. Lost Heaven, Empire Bay e New Bordeaux guardano all’America del passato per portare in forma videoludica un gangsterismo un tempo tipico solo del cinema. Non sorprende quindi che il primo capitolo del 2002, Mafia: The City of The Lost Heaven, sia ambientato in una fittizia Chicago, negli anni Trenta, durante il Proibizionismo. Bastano questi pochi appigli per figurarsi davanti agli occhi Al Capone, mitra Thompson e completo in gessato. All’interno di questo immaginario ben consolidato, il gioco dell’allora Illusion Softworks racconta una magnifica mafia story, incentrata sulla scalata tra i ranghi della malavita italo-americana del tassista Tommy Angelo. Tale concept si può dire sia caratteristico di tutta la serie, dato che viene riproposto ciclicamente ad ogni nuovo capitolo. Tuttavia la forza di Mafia sta nel saper plasmare il tema dell’ascesa nella criminalità organizzata in relazione al contesto in cui è ambientato.

Partendo da Lost Heaven, si tratta di una metropoli che guarda con attenzione agli anni Trenta, e non solo per la questione del Proibizionismo. Altro tema presente nel gioco sono gli effetti della Grande depressione del 1929, una delle più grandi crisi economiche del XX secolo. E così, in Lost Heaven, nascoste dallo sfarzo degli edifici della Downtown come l’Hotel Corleone, ci sono le Hooverville: baraccapoli sorte in seguito alla profonda crisi del ‘29, così chiamate per criticare l’operato dell’allora presidente Herbert Hoover. Il primo Mafia ce ne dà uno spaccato, ambientandoci pure una missione in un vecchio carcere, diventato dimora di chi non possiede più nulla. In generale la struttura apparentemente open-world del titolo, ben amalgamata alla narrazione in capitoli, permette di avere suggestivi scorci della città, che si mostra in tutte le sue contrapposizioni: sfavillante skyline di grattacieli e ciminiere fumanti delle aree industriali; villette a schiera da american way of life e Hooverville; i palazzi fatiscenti di Little Italy e i negozi decorati da lanterne di Chinatown. Di conseguenza girare tra le trafficate vie della città in un’auto d’epoca è un vero inno all’osservazione. Lo era soprattutto nel 2002.

Ma se Lost Heaven si concentra esclusivamente sulla mafia italo-americana e sulla storia di Tommy Angelo, Empire Bay di Mafia II si espande, in un certo senso. Anche qui il protagonista è di origini italiane. Si chiama Vito Scaletta, ed ha lasciato la Sicilia da bambino con la famiglia per vivere l’american dream. L’opening di gioco riassume perfettamente le speranze dei migranti di inizio Novecento, pronti a superare l’oceano in cerca di riscatto in suolo americano. Un senso di speranza poeticamente racchiuso dallo skyline. Ma la Grande Mela rivive in Empire Bay grazie anche ad altri simboli come l’Empire State Building o il ponte di Brooklyn. Tuttavia, non è solo questo a rendere newyorkese Empire Bay, bensì la sua atmosfera generale. Per il suo design, il team di sviluppo, 2K Czech, non si è ispirato esclusivamente alla reale metropoli americana, ma in generale ha ripreso le caratteristiche delle città statunitensi – grattacieli, quartieri etnici, zone industriali – per dare l’idea a chi gioca di operare all’interno di una ruggente città tipica degli Stati Uniti del secondo dopoguerra.

Questo carattere viene enfatizzato nel gioco da una maggiore interazione rispetto al primo capitolo, dato che nei panni di Vito possiamo gustarci degli hot dog dai carrettini disseminati negli angoli della città, o comprare gli abiti più alla moda, assieme ai cittadini perbene. Questa possibilità di personalizzare il protagonista, oltre alle piccole azioni, evidenziano il tema centrale di Mafia II, ovvero la riuscita del self-made man, altro mantra della cultura americana, qui declinata in ottica gangster. In tal senso, è con il secondo capitolo che la serie dimostra la volontà di crescere e maturare. Empire Bay, pur essendo teatro della storia di Vito, getta luce su altre tipologie di criminalità organizzata come le gang afroamericane, i trafficanti di droga cinesi, gli usurai di origine ebraica.

Ciò non è un aspetto secondario, anzi, perché lo ritroviamo migliorato nella New Bordeaux di Mafia III. Checché se ne dica del gameplay e della monotonia del terzo capitolo, non si può non apprezzare il fascino della fittizia New Orleans che fa da setting alle vicende di Lincoln Clay, afroamericano reduce della guerra del Vietnam che nel 1968 inizia una faida contro la famiglia mafiosa dei Marcano. È una novità importante per la serie, che per la prima volta abbandona il protagonista italo-americano. È una scelta attenta ma intelligente dovuta all’anno e alla città in cui è ambientato il gioco. In questo senso, ogni dettaglio è curato: esplorando New Bordeaux notiamo suonatori di jazz, splendidi edifici in stile europeo, hippie dediti all’uso di sostanze, ma anche paludi abitate da contrabbandieri, manifestanti contro la guerra del Vietnam, colletti bianchi e reietti della società. Delray Hollow, Bayou Fantom, Pointe Verdun: una varietà di quartieri ognuno controllato da una gang di origine italo-americana, o haitiana, irlandese, ma anche bianca e razzista come quella Dixie. Una differenza dettata dalle ingiustizie sociali e le disuguaglianze, ma anche dalla voglia di combatterle. Il team di sviluppo, Hangar 13, ha dimostrato davvero una particolare attenzione alle rappresentazioni presenti in Mafia III.

Questa profondità è legata alla reale struttura open-world del gioco, quindi una mappa liberamente esplorabile e ricca di missioni sì ripetitive ma che dipingono in maniera fedele le tensioni dell’epoca. L'esplorazione viene movimentata dall'aggiunta di meccaniche che enfatizzano la vena razzista di New Bordeaux. Ciò vuol dire che, in quanto nero, Lincoln non può entrare in diversi negozi della città. Se decidiamo di non tenere conto dell’avviso all’ingresso con su scritto “No Colored Allowed”, i proprietari dei suddetti negozi chiameranno la polizia, e noi saremo costretti a seminarla. Oppure, se compiano un crimine a Delray Hollow, quartiere a maggioranza afroamericana, le forze dell’ordine arriveranno con poche unità e dopo diverso tempo; l’opposto di quello che accade se rubiamo un’auto nell’area commerciale, la Downtown. In generale Mafia III rinuncia alle piccole interazioni viste nel capitolo precedente, perché verosimilmente le azioni di Vito non possono essere compiute con la stessa facilità da Lincoln. E New Bordeaux ce lo ricorda costantemente.

Midwest, costa orientale e sud: la serie di Mafia ci mostra facce dell’America a tratti simili, a tratti opposte. Lost Heaven, Empire Bay e New Bordeaux: ognuna, a modo suo, utilizza l’immagine sfavillante e indomita degli Stati Uniti del secolo scorso, per mostrarne i suoi paradossi e i suoi lati più oscuri, come la criminalità organizzata. Lo fa in maniera spesso cinematografica e romanzata – specie nei primi due capitoli, ma non è un male. Come detto all’inizio, la serie Mafia ha contribuito a portare gli standard e gli stilemi del cinema gangster nei videogiochi, interpretandoli a suo modo e confezionando storie ed esperienze di indipendente bellezza.

Continua a leggere su BadTaste