The Last of Us Parte II, una spietata lente d'ingrandimento su Seattle e sugli Stati Uniti post-apocalittici | Speciale
Lo State of Play di ieri sera ha fatto luce sull'importanza delle ambientazioni che potremo visitare in The Last of Us Parte II
Tralasciando il discorso legato alle novità di gameplay, l’elemento che più ha catturato la nostra attenzione è Seattle, metropoli dello stato di Washington, nel nord-ovest degli Stati Uniti.
Ciò è evidente nella presenza di due fazioni avversarie, il Washington Liberation Group (WLG) e i Serafiti. Il primo nacque come ribellione all’occupazione militare della città quando esplose la pandemia 25 anni fa, i secondi invece sono dediti al culto tribale. Entrambe le fazioni delineano perfettamente i sentimenti americani, esasperati in casi di apocalisse. Da una parte la ricerca della sicurezza e della superiorità sugli altri sfruttando arsenali d’armi di prim’ordine, dall’altra attraverso la religione, che comunque non rinnega la violenza, anzi.
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In particolare, il riferimento è alla società americana lontana dagli stereotipi tipici di New York, Los Angeles e della stessa Boston, dove le sue contraddizioni appaiono più forti. Una tesi rafforzata dalla scelta di ambientare The Last of Us parte II nello Stato di Washington, situato vicino a Idaho e Montana, setting prediletto di Far Cry 5 per rappresentare il fanatismo religioso americano, ma anche all’Oregon, altra ambientazione iconica di Days Gone, in cui i sopravvissuti sembrano ricordare per approccio e mentalità il WGF. In breve, sembra proprio che l’America meno nota sia il teatro perfetto – e per perfetto non intendiamo bello, ma immersivo – per mostrare i timori legati all’apocalisse, altro tema a cui gli americani sono molto legati.
Quando parliamo di armi e religione associate agli Stati Uniti, ci viene sempre in mente il motto stampato sul dollaro “In God We Trust”, perché racchiude la percezione che l’America ha di sé, ovvero come potenza protetta da Dio, una potenza che regge gran parte della sua cultura sulle armi come legittima difesa da colui che proviene dall’esterno. Questa forma mentis è brutalmente tangibile in The Last of Us Parte II, che punta a un ambiente vivo, soggetto a regole ben precise, dove gli uomini non sembrano più semplici pedine da eliminare, ma appaiono come sopravvissuti aggrappati a una qualsiasi speranza pur di andare avanti, in cui non c’è spazio per la morale.
Per questo siamo convinti della forte valenza politica di The Last of Us Parte II, sempre ribadita da Neil Druckmann, che non riguarda esclusivamente la sessualità di Ellie, ma in generale l’umanità. E considerato il particolare momento storico che stiamo vivendo, il messaggio dell’opera di Naughty Dog potrebbe apparire ancora più potente e straziante.