E3 2019, come Electronic Arts, Bethesda, Ubisoft e Square Enix l'hanno trasformato in un festival del cinema
Nelle loro conferenze dell'E3 2019 i principali publisher dell’industria videoludica hanno preferito i trailer al gameplay, tradendo in parte il concept di fondo dell'evento
Lorenzo Kobe Fazio gioca dai tempi del Master System. Scrive per importanti testate del settore da oltre una decina d'anni ed è co-autore del saggio "Teatro e Videogiochi. Dall'avatara agli avatar".
La quasi totalità dei progetti mostrati per la prima volta, in alcuni casi anche quelli di cui si conosceva già l’esistenza, è stata mostrata tramite video estremamente coreografici, improntati sulla trama, quando non sull’atmosfera generale, dominati da una regia puntuale e raffinata. Non solo, nel corso delle presentazioni, non sono mancati volti del cinema più o meno noti, dal Keanu “Mozzafiato” Reeves di Cyberpunk 2077, agli Avengers modellati sulle fattezze di Troy Baker, Nolan North e Laura Bailey, senza dimenticare la cross-medialità di Tom Clancy’s The Division, che porterà in dote un film prodotto da Netflix con Jake Gyllenhaal e Jessica Chastain a prestare le loro doti attoriali.
Sarebbe l’E3, insomma, ma per certi versi è parso un festival del cinema, il che non è per forza un male, a patto di carpire bisogni e necessità di un’industria che ha tutto l’interesse di espandersi al di fuori del videogioco, per coinvolgere più persone e smuovere capitali sempre maggiori. Tuttavia, non è il denaro l’unico incentivo che indirizza gli interessi dei principali produttori di videogiochi, fortunatamente consapevoli di essere anche artefici di prodotti culturali, quando non di piccole e grandi opere d’arte. Complici gli incredibili progressi tecnologici compiuti negli ultimi anni, lavorare con attori reali, digitalizzati tramite motion capture, ha permesso a sceneggiatori ed artisti di decine di team di sviluppo di amalgamare trame ed intrecci narrativi sempre più avvincenti, convincenti, trasversali.
La reticenza a mostrare il gameplay dei tanti giochi mostrati ha un’altra causa, storica questa volta. Con l’arrivo di una nuova generazione di console, capitanate da PlayStation 5 e Project Scarlett, nessuno dei concorrenti in gioco ha voglia di giocare a carte scoperte. Del resto, per piattaforme che promettono una retrocompatibilità pressocché totale, può essere controproducente mettere in bella vista una grafica in-game che potrebbe apparire ben diversa, a seconda di dove si scelga di giocare.
[caption id="attachment_196556" align="aligncenter" width="1920"] Tra tutti i giochi presentati quello che ci ha maggiormente incuriosito è senza dubbio Ghostwire: Tokyo. Oltre a delle premesse narrative interessanti, cotanto hype è giustificato dalla presenza in cabina di regia del mitico Shinji Mikami[/caption]
Questo E3 2019, insomma, di carne sul fuoco ne ha messa, ma c’è anche moltissimo fumo, una cortina che promette certamente bene, ma che attualmente ci impedisce di mettere a fuoco l’aspetto delle portate che ci attendono da qui sino a 2020 inoltrato, deadline entro cui almeno Project Scarlett dovrebbe fare ufficialmente il suo debutto.
Death Stranding, insomma, con la sua timidezza e il suo forte desiderio di restare un oggetto del mistero, ha più o meno involontariamente fatto scuola. Certo è che un futuro in cui non tutto viene svelato nei minimi dettagli, già molto tempo prima dell’effettiva release, non è poi così disprezzabile.
Forse, tuttavia, sarebbe stato meglio un compromesso, almeno in questa sede, perché le conferenze di Ubisoft, Electronic Arts, Bethesda, Ubisoft e Square Enix, ognuna con i suoi tempi morti e i momenti di pura esaltazione, ci hanno lasciato molti dubbi, tanta curiosità, infinito hype. Il ché, a ben vedere, non è nemmeno poca cosa.