Ninja Theory, una vita da underdog
Ripercorriamo la storia di un team di sviluppo fin troppo sottovalutato: Ninja Theory
Lorenzo Kobe Fazio gioca dai tempi del Master System. Scrive per importanti testate del settore da oltre una decina d'anni ed è co-autore del saggio "Teatro e Videogiochi. Dall'avatara agli avatar".
Reazione di per sé positiva, senza dubbio, che svela in realtà un dettaglio secondario, eppure quanto mai influente sulla percezione che si ha nei confronti della software house. La tendenza, infatti, è quella di sottovalutare continuamente l’operato di Ninja Theory, pratica messa in atto evidenziando le criticità delle loro produzioni, a discapito degli innegabili pregi, spesso paratestuali, effettivamente riconducibili a contesti che esulano e superano lo stesso videogioco.
Heavenly Sword, del resto, aveva il compito di risollevare il lancio non particolarmente fortunato dell’ammiraglia nipponica, sorprendentemente in affanno nei confronti della diretta rivale, l’Xbox 360 di Microsoft che era riuscita ad assicurarsi le simpatie delle terze parti.
Ninja Theory, nell’approcciarsi nei confronti di un’esclusiva di una console che voleva essere ancora più cinematografica di quanto non lo fosse già stato ai suoi tempi la gloriosa PlayStation 2, decise di abbandonare qualsiasi indugio, impostando un business model certo rischioso, chiaramente equivocabile, inevitabilmente destinato a diventare cifra stilistica e firma dello studio stesso.
Sì, perché sin da Heavenly Sword il team inglese mise in chiaro di preferire la ricercatezza artistica a qualsiasi velleità ludica, di sacrificare, solo eventualmente beninteso, la profondità del gameplay alla riuscita del comparto estetico."Curiosamente, la storia produttiva di Ninja Theory si chiude, momentaneamente beninteso, in maniera del tutto simile a come è iniziata"
L’avventura dell’affascinante Nariko, che probabilmente avrebbe meritato di svilupparsi ulteriormente in altri episodi, come sappiamo non fu la killer application auspicata da molti, titolo dai troppi difetti per trasformarsi in un classico, in una pietra miliare che potesse fare epoca. Eppure, il tocco di Andy Serkis c’è, la regia avvolgente e coinvolgente si fa sentire, la sceneggiatura tratteggia personaggi nient’affatto scontati e stereotipati.
Il compromesso (quasi) perfetto, si raggiunse, semmai, con i due titoli successivi.
Enslaved: Odyssey to the West, che vide nuovamente la collaborazione di Andy Serkis, che tramite motion capture animò e diede vita a Monkey, protagonista dell’avventura, anticipò ed inaugurò il trend dei post-apocalittici che sostituiscono il rigido inverno post-atomico, con un pianeta Terra rigoglioso di vegetazione come non mai. Riadattando la stessa leggenda che ha ispirato Akira Toriyama nella creazione di Dragon Ball, Ninja Theory ha saputo plasmare un viaggio avvincente, con un finale mozzafiato, attraverso scenari splendidi, inediti, affascinanti.
Dal canto suo anche il gameplay seppe dimostrarsi all’altezza. Nonostante un’asfissiante linearità di fondo, combat system, fasi di arrampicata ed una discreta sovrastruttura ruolistica, seppero dare spessore alla produzione.
Si comportò ancora meglio il bistrattato DmC Devil May Cry, reo di giocare con l’iconografia della saga, di essere fin troppo innovativo e, in ultima analisi, di essere migliore di qualsiasi altro capitolo sviluppato da Capcom stessa. Se il combat system è quanto di più adrenalinico, e tecnico, si possa immaginare, visivamente siamo di fronte all’ennesima scommessa (vinta) di Ninja Theory, un lavoro mastodontico, certosino, attentissimo ai dettagli, che ci ha regalato uno dei videogiochi più coraggiosi e belli da vedere mai realizzati.
Curiosamente, la storia produttiva di Ninja Theory si chiude, momentaneamente beninteso, in maniera del tutto simile a come è iniziata. Hellblade: Senua's Sacrifice, recentemente pubblicato anche su Nintendo Switch, come Heavenly Sword, sacrifica la forma per il contenuto, il gameplay per il paratesto, il ciò che si fa per il ciò a cui si dovrebbe pensare.
L’ordalia della sfortunata Senua, difatti, non è emozionante da giocare, ma è un autentico capolavoro se si considera l’art design, le tematiche tirate in ballo, le innumerevoli allegorie che attiva, tutte incentrate a sottolineare come la psicosi sia un boss di fine livello da cui è quasi impossibile sfuggire.
[caption id="attachment_194915" align="aligncenter" width="1460"] Attualmente Ninja Theory è al lavoro suVader Immortal: A Star Wars VR Series, avventura per Oculus Quest ambientata nell’universo che fu di George Lucas[/caption]
L’industria videoludica è piena di software house pronte a rinunciare al messaggio, al senso, all’artistico, per veicolare una ben precisa idea di game design. Sono scelte e come tali vanno rispettate e considerate. Ninja Theory, fin’ora, quando ha potuto ha sempre fatto la scelta opposta, dimostrandosi tuttavia abile anche nell’imbastire gameplay di un certo spessore, ulteriore segnale che quella intrapresa dal team inglese è una politica ben precisa e non la rovinosa conseguenza di un’inabilità congenita.
Nonostante la reputazione da underdog, la software house ha convinto Microsoft a porgergli una proposta irrifiutabile, una collaborazione a pieno titolo che permetterà al team di lavorare con i giusti tempi, con budget adeguati alle visioni degli artisti che lo compongono.
Non ci resta che vedere se anche il prossimo capolavoro made in Ninja Theory continuerà a suscitare sorpresa nel pubblico o se, finalmente, inizieremo ad abituarci e a riconoscere tutti i meriti e gli onori di una software house coraggiosa, talentuosa, da sempre in grado di creare ottimi contenuti.