Charlotte Laws: chi è la donna che ha fermato Hunter Moore
Ecco chi è Charlotte Laws, la donna che ha sconfitto il re del Revenge Porn Hunter Moore
L’uomo più odiato di internet è disponibile dal 27 luglio su Netflix.
La donna che ha contribuito a fermare Hunter Moore, creatore e proprietario del sito IsAnyoneUp.com in cui, per i suoi 2 anni di attività, furono postate foto pornografiche, con e senza il consenso dei diretti interessati, che furono poi messi alla berlina dalla copiosa comunità che lo popolava, è solo brevemente descritta dagli autori come una donna caparbia, che da ragazza riusciva ad intrufolarsi ovunque volesse per incontrare le star del cinema che tanto amava, un'attività da cui trasse persino un libro intitolato Meet the Stars, promosso da personaggi come Larry King ed Oprah Winfrey.
CHI È CHARLOTTE LAWS
La Laws, oggi sessantaduenne, è una persona decisamente poliedrica, dopo aver studiato recitazione, ha lavorato come modella, attrice e cabarettista, per poi passare alla carriera di autrice e giornalista, animalista, attivista e persino politica, servendo un mandato di due anni come membro del Coniglio locale di Valley Glen, in California, una persona che sicuramente non disdegna le luci della ribalta, come è evidente anche dal documentario di Netflix di cui rappresenta uno dei personaggi chiave, ma che, a differenza del suo nemico giurato Hunter Moore, ha usato il suo successo personale per portare avanti un'incredibile battaglia per fermare il re del Revenge Porn.
Quando IsAnyoneUp.com nacque, nel 2010 non esistevano leggi per fermare quello che oggi è noto come il fenomeno del Revenge Porn ed il sito presto si trasformò in una sorta di paradiso e rifugio per tutti coloro che, anonimamente, potevano caricare per vendetta una foto di nudo del proprio o della propria ex, al solo scopo di rovinagli la vita. Nel momento di maggiore successo della creazione di Moore, il sito aveva circa 350 mila visitatori unici al giorno, il che costituisce un numero davvero incredibile per quel tempo, ottenuto grazie al fatto che Moore e la sua community diventarono un vero e proprio fenomeno globale.
Come dichiarato in un'intervista rilasciata da Newsweek da Vikki Miller, la produttrice di L'uomo più odiato di Internet, Moore portò la sua notorietà alle stelle anche grazie a Twitter (nel quale ancora gravita, a differenza di Facebook, da cui è stato bannato) riuscendo a mettere in rete un tipo di sito che oggi si troverebbe più facilmente nel Dark Web, soprattutto per i metodi usati per fornire nuovo materiale ai suoi molti frequentatori.
LA GUERRA DI CHARLOTTE
Come è ormai noto, infatti, l'errore di Moore fu quello di sottrarre a molte delle sue vittime, con l'aiuto di un hacker, le loro immagini più intime per poi caricarle sul suo sito senza il loro consenso, cosa che finì poi per portare alla sua condanna dopo anni di un'estenuante e lunga indagine da parte dell'FBI, allertata proprio da Charlotte Laws, la cui figlia Kayla fu una delle tante vittime di Moore:
"Kayla si è sentita violata ed umiliata ed ha sofferto molto. Quando ho guardato il sito per la prima volta sono rimasta inorridita nello scoprire come fosse stato creato con lo scopo di insultare le persone e prendersi gioco di loro. Il suo unico fine era quello di rovinare loro la vita, non era tanto un sito pornografico, non era quello l'aspetto principale, quanto imbarazzare il prossimo o far licenziare le persone ed essere il più crudeli possibile".
Oltre a suo marito, che alla fine ottenne da Moore di far levare le foto della figliastra dal sito, la Laws parlò con diversi avvocati per tentare di fermare le attività di IsAnyoneUp.com ma, al tempo, tolta la questione dell'hackeraggio, che andava comunque provata, quello che facevano non era illegale né denunciabile. Ed è stato a quel punto che la madre di Kayla si è resa conto che per sconfiggere Moore doveva diventare tanto ossessiva quanto lui:
"Non so dove trovasse il tempo di dormire, sembrava che fosse in attività 24 ore su 24 ed era talmente ossessionato che ho capito che dovevo comportarmi come lui se volevo avere qualche possibilità".
Dopo che Charlotte richiese ed ottenne che le foto di nudo della figlia fossero eliminate dal sito, la sua battaglia non si arrestò e la donna decise di continuare nella sua campagna per dimostrare a tutte le vittime di Hunter Moore che c'era qualcuno che combatteva per loro, diventando un punto di riferimento anche per chi, come l'FBI, decise di cominciare a fare delle serie indagine sulle attività sospette di IsAnyoneUp.com, attirandosi così addosso l'odio di alcuni degli squilibrati che facevano parte della cosiddetta "famiglia" di Moore:
"Avevo paura, non sai mai, quando vieni presa di mira da queste persone, se abbiano una pistola, se siano ex detenuti, se abbiano problemi di controllo della rabbia, non sai niente di loro," ha dichiarato la Laws ricordando quel periodo della sua vita.
Con l'arrivo di alleati come James McGibney finalmente le cose cominciarono a cambiare, non solo l'ex Marine è infatti riuscito nell'intento di farsi vendere il sito da Moore e chiuderlo nel 2012, reindirizzandolo su uno dei suoi siti anti-bullismo, ma il coinvolgimento del gruppo di Anonymous - che si è schierato a proteggere la Laws e la sua famiglia - ha reso la vita di Moore decisamente più complicata quando hanno cancellato il suo numero di previdenza sociale, svuotato il suo conto in banca e sono riusciti a farlo dichiarare morto per qualche mese, prima che lui corresse ai ripari.
Quando, nel 2014, Hunter Moore fu finalmente arrestato dall'FBI con l'accusa di cospirazione, accesso non autorizzato in computer protetti e furto aggravato di identità e rilasciato con una cauzione di 100.000 dollari, per poi dichiararsi colpevole nel 2015 per due capi d'accusa e ritrovarsi con una condanna di 2 anni e mezzo di prigione e l'obbligo di pagare una multa di 2.000 dollari, la Laws commentò la cosa dicendo che era stato come catturare Jack lo Squartatore e condannarlo ai lavori socialmente utili.
HUNTER MOORE OGGI
Sebbene Moore abbia cercato di mantenere un basso profilo in tutti questi anni, è piuttosto evidente che - tra interviste e commenti più o meno appropriati - stia cercando di cavalcare l'onda del successo del documentario a lui dedicato su Netflix, mentre dal suo profilo Twitter dichiara di aver scontato la sua pena, di essere stato un ragazzino al tempo dei fatti, di essere maturato, ma di non avere nemmeno alcuna intenzione di scusarsi, perché "non devo niente a nessuno".