Battlestar Galactica e la lotta per la sopravvivenza: perché è il momento giusto per riguardare la serie di Ronald D. Moore
Battlestar Galactica è prima di tutto una serie sull’essere umani e sugli esseri umani: ecco perché è il momento giusto per riguardarla
«Battlestar Galactica parlava di un’apocalisse. Si apriva con un genocidio, la distruzione di 12 pianeti, la perdita di miliardi di vite umane. I pochi sopravvissuti fuggono eroicamente di fronte a un nemico implacabile che è determinato a distruggerli a tutti i costi, e vanno in cerca di un luogo mitico chiamato Terra.
E il primo posto dove arrivano è un pianeta-casinò».
Ronald D. Moore ha sempre avuto opinioni molto forti su Battlestar Galactica, una serie TV di fantascienza creata da Glen Larson e andata in onda più o meno regolarmente su ABC per tre anni (dal 1978 al 1980) e 24 episodi. Forti e non particolarmente favorevoli: secondo quello che è uno dei principali autori di Star Trek: The Next Generation, Deep Space Nine e Voyager, Battlestar Galactica era «una grande idea per una serie, ma impossibile da realizzare sulla ABC nel 1978 [...] Doveva essere per forza una combinazione di Star Trek e Star Wars, ogni settimana [...] Si apriva con una premessa cupa, spaventosa, disturbante e, al tempo, impossibile da sviluppare».
Che fortuna, quindi, che nel 2003 Ronald D. Moore, reduce da 12 anni a scrivere per Star Trek, sia riuscito a farsi affidare il compito di reinventare Battlestar Galactica, e con una libertà creativa sostanzialmente assoluta. Erano i primi tempi post-Soprano, quelli in cui si cominciava a parlare di età d’oro della TV; di lì a poco sarebbe arrivato Lost a sparigliare definitivamente le carte e a dare il via a una nuova epoca. C’era voglia di TV coraggiosa e nuova nelle strutture e nei temi, e Sci-Fi (come si chiamava al tempo SyFy) aveva da poco compiuto dieci anni ed era ancora quel canale che venne creato nel ’92 con l’aiuto tra gli altri di Gene Roddenberry e Isaac Asimov, e che aveva già lanciato in America prodotti di mega-culto come Farscape di Jim Henson.
Fortuna? O destino? Se non conoscete Battlestar Galactica ma state pensando di avvicinarvi dovete sapere questa cosa: come il suo mito Gene Roddenberry, il creatore di Star Trek, Ronald D. Moore è un “agnostico curioso”, un tizio nato in un contesto profondamente religioso e cresciuto con un sano scetticismo verso il soprannaturale e un’altrettanto sana fascinazione per la spiritualità e l’influenza che l’idea dell’esistenza di un essere superiore può avere sulla mente umana, e non solo, non necessariamente, quelle più deboli come vuole la vulgata sulla questione. E la chiave di volta di quanto detto fin qui in questo paragrafo non è tanto la religione, quella cattolica in particolare, quanto la curiosità: a Ronald D. Moore piace scoprire gli effetti delle cose sulla gente, e più in generale gli piace scoprire la gente, sapere come funziona, quali sono i meccanismi micro- e macro- che informano i nostri comportamenti e le nostre scelte. Ronald D. Moore, per esempio, è convinto che Star Trek abbia sbagliato tutto riguardo alla religione, e che sia sciocco immaginare che tra due o tre secoli l’intera specie sarà diventata così gelida e razionale da disinteressarsi alle grandi questioni esistenziali tipo “chi siamo, da dove veniamo, dove andiamo, c’è vita dopo la morte?”. Ed è anche convinto che non sia interessante scrivere una storia nella quale gli eroi non sbagliano mai e fanno sempre scelte che condividiamo al 100% – per quello c’è Star Trek e il capitano Picard, dice Moore.
Stanti quindi queste infinite premesse che dovrebbero forse avervi dato un’idea del substrato ideologico dal quale nasce Ronald D. Moore, che cos’è Battlestar Galactica e perché dovreste recuperarla?
L’approccio freddo e cronachistico impone di scrivere quanto segue: in un tempo non precisato, in un angolo dello spazio diverso dal nostro, gli esseri umani vivono su 12 pianeti, le 12 Colonie, il cui nome già da sé fa capire che non stiamo parlando degli esseri umani noi ma di una qualche forma di esseri umani loro il cui legame con noi verrà esplicitato nel corso di 4 stagioni e 76 episodi. Ora, succede che tanto tempo fa i loro antenati inventarono l’intelligenza artificiale e gli androidi indistinguibili dagli esseri umani e tutte quelle cose di cui parlava anche Blade Runner e li chiamarono “Cylon” o “tostapane”, e giustamente questi si offesero e fecero la rivoluzione e la guerra. Battlestar Galactica inizia – con una miniserie-mega-puntata-doppia da tre ore – svariati secoli dopo suddetta guerra e alcuni minuti prima dell’inizio di una nuova: i Cylon sono tornati e sono infuriati, talmente infuriati che spazzano via le 12 Colonie e quasi l’intera umanità. Sopravvivono solo 50.000 persone, a bordo di una serie di astronavi civili e una singola unità militare, nome Galactica, che fuggono dalle macerie delle colonie e dall’estinzione della specie e partono per un viaggio nel cosmo in cerca di una nuova casa.
Come si fa a vivere, ma anche solo a sopravvivere, quando non puoi neanche dormire perché ogni 33 minuti la tua nave salta nell’iperspazio fuggendo da un esercito di androidi incazzati?Quello che succede nelle prime tre ore di Battlestar Galactica sarebbe sufficiente a riempire diversi pezzi di analisi e approfondimento. C’è una donna che prende il potere perché tutti i maschi gerarchicamente sopra di lei muoiono. C’è un’intera flotta stellare di navi avanzatissime che viene spazzata via senza fatica e l’unica che sopravvive è un vecchio rottame senza neanche le funzionalità di network il che paradossalmente è quello che la protegge dai Cylon che in quanto, in ultima analisi, robot assassini sono anche abilissimi hacker. C’è la scelta molto forte di mettere un tizio in pensione alla guida dell’ultimo baluardo della nostra specie, e più in generale di appoggiarsi al modello Star Trek dello space drama che si consuma in gran parte intorno a un ponte di comando o tra i corridoi della nave, ma di distaccarsi nettamente dalle sue implicazioni morali: i protagonisti di Star Trek erano il meglio del meglio a bordo del meglio del meglio, quelli di Battlestar Galactica sono... quello che rimane dopo un’apocalisse, alcolisti e alcoliste, terroristi convinti di essere ideologicamente puri (oppure leader politici autenticamente rivoluzionari, scegliete voi l’angolo), egomaniaci, bugiarde, il meglio e il peggio della nostra specie con un certo penchant verso il peggio.
Quello che succede dopo le prime tre ore di Battlestar Galactica, dopo le esplosioni e la guerra atomica e la precipitosa fuga dalle rovine fumanti di una prosperosa civiltà, è uno studio antropologico, sociologico, psicologico e politico dello stress post-traumatico, e più in generale di come l’essere umano reagisce in situazioni di emergenza (il micro-) e come lavora per ricostruire da zero una società democratica dopo l’apocalisse (il macro-). È come se Moore avesse preso tutto quello che aveva imparato fin lì con Star Trek e avesse deciso di ribaltarlo, di rivoltarlo, di scovarne il lato oscuro, quella vocina che sussurra che no, non andrà tutto bene, non per forza, magari per altri, magari non per te. Già 33, il primo episodio vero e proprio, quando ancora Galactica si divertiva a mantenere una parvenza di verticalità presentando un problema a settimana e risolvendolo nel giro di tre quarti d’ora, sovvertiva parecchie aspettative su quello che dev’essere un primo episodio: invece di partire in una situazione di tranquillità (per esempio, la flotta che naviga nello spazio indisturbata da giorni) e poi infrangerla (per esempio con l’arrivo dei Cylon che li hanno finalmente beccati!), 33 riprende da un paio di battiti di ciglia dopo il finale della miniserie, con il primo di tanti, tantissimi salti a velocità ultraluce compiuti dalla Galactica nel corso della serie. E con la scoperta da parte degli umani che nel giro di 33 minuti i Cylon li raggiungeranno: come si fa a vivere, ma anche solo a sopravvivere, quando non puoi neanche dormire perché ogni 33 minuti la tua nave salta nell’iperspazio fuggendo da un esercito di androidi incazzati?
Come microcosmo, 33 funziona anche meglio del pilot, perché presenta Battlestar Galactica come una storia di problemi insormontabili e soluzioni abborracciate. È una serie che parla di claustrofobia e agorafobia, di solitudine e di troppa gente in troppo poco spazio, di cosa significhi essere umani e del ruolo che le vecchie istituzioni democratiche possono ricoprire nella ricostruzione di una parvenza di società. Ma è soprattutto una serie che parla di arrangiarsi, di fidarsi, di andare un po’ alla cieca sperando che vada di culo; di improvvisare, creare, inventare pur di arrivare vivi alla prossima meta. E certo a riguardarla oggi sapendo quello che in quegli anni succedeva nel mondo è impossibile non notare riferimenti più o meno evidenti a situazioni molto specifiche – senza entrare troppo nel dettaglio, metà della terza stagione parla della guerra in Iraq vista dagli occhi degli iracheni –, ma il cuore del racconto, l’anima, il nerbo, l’essenza, resta una serie di riflessioni sulla natura umana applicabili ai Sumeri tanto quanto all’uomo del futuro. Raccontate peraltro con un rigoroso e quasi assoluto distacco emotivo e un’aderenza totale ai canoni estetici del documentario, per cui camere a mano, confusione artistica, luce naturale (o finta-naturale) il più possibile, attenzione al dettaglio ma soprattutto, più di tutto, un abbandono completo all’atmosfera e ai rituali militari, al loro linguaggio ripetitivo e martellante, anche al loro tedio e alla loro vacuità, volendo, vissute però come necessaria àncora di familiarità in un universo completamente stravolto.
C’è tutto un altro lato del discorso che non abbiamo neanche sfiorato fin qui, ed è quello che riguarda l’altra metà del cielo di Galactica, i Cylon, l’elemento cyberpunk della storia, quelli che portano a grandi riflessioni sulla sindrome di Pinocchio (vero motore narrativo di tutta la serie) e sulle pecore elettriche, ma che sono anche protagonisti di grandiose e intricatissime metafore – una su tutte, la distruzione delle 12 Colonie vista come simbolo della razionalità e lo scientismo che soppiantano la religione e la fede ma in parallelo anche dei monoteismi moderni che si sostituiscono al paganesimo e al politeismo. In questo senso, soprattutto con il senno di poi donato dal sapere come va a finire, il lato Cylon dell’equazione Galactica è quello più stimolante e persino moderno/futuribile, nella misura in cui la realtà non ha ancora raggiunto la finzione. Ma non è quello che interessa a noi, soprattutto in questo momento, e d’altra parte gli stessi Cylon nella serie sono definiti più da quello che vorrebbero essere – come noi, nell’accezione reluigi-ana dell’espressione – che da quello che sono – meglio di noi sotto parecchi punti di vista; Battlestar Galactica è prima di tutto una serie sull’essere umani e sugli esseri umani, nello specifico esseri umani rinchiusi in grosse scatolette di tonno a motore e lanciati nello spazio, inseguiti da un branco di Robocop con il fisico da pin-up, ma pur sempre esseri umani.
(Se poi scoprite che Battlestar Galactica vi piace e ne volete di più, oltre ai vari spin-off e prequel potete divertirvi con il board game e con un bellissimo videogioco di strategia e guerre stellari).