Chernobyl e Game of Thrones: così la tv ci racconta il cambiamento climatico
Due delle serie andate sulla HBO quest'anno, Chernobyl e Game of Thrones, raccontano con il linguaggio della metafora la crisi del cambiamento climatico
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Ci sono più momenti salienti in cui questa narrazione implicita viene fuori nei due show. In Game of Thrones l'esistenza degli Estranei viene continuamente negata, dagli avvistamenti nella prima stagione fino alla reazione di Cersei alla riunione alla Fossa del drago nella settima. In Chernobyl il chimico Legasov (Jared Harris) e, più tardi, il funzionario Shcherbina (Stellan Skarsgard) rappresentano – nella narrazione romanzata di figure storiche – la comunità di esperti che pongono un problema che viene negato o minimizzato. Particolarmente importante nella miniserie è allora la figura di Ulana Khomyuk (Emily Watson), inventata per omaggiare e rappresentare i tanti scienziati che hanno coadiuvato Legasov.
- C'è stato un incidente a Chernobyl, ma mi è stata data assicurazione che non c'è alcun problema.
- Io le dico che c'è.- Preferisco la mia opinione alla sua.
- Sono un fisico nucleare, prima di essere deputato lei lavorava in una fabbrica di scarpe.
- Sì, lo facevo, e ora invece sono in carica.
Certo, qui il dialogo eccede dal documentarismo alla fiction – come più volte fa la serie – ma è un esempio conciso e immediato dell'idea che si vuole trasmettere. Prima come forma di pensiero e approccio al problema, e poi come tema concreto, che può essere l'effetto delle radiazioni o appunto il riscaldamento globale.
In Game of Thrones gli Estranei sono relegati ad un passato mitico e che non può tornare, in Chernobyl le implicazioni di un incidente nucleare sono sottovalutate o negate perché non esiste precedente. In entrambi i casi l'eccezionale diventa possibile e ribalta la narrazione del presente da parte del potere. I protagonisti allora devono trovarsi a rincorrere, in un caso o nell'altro, un'emergenza che ormai potrebbe aver superato la soglia critica.
Evidentemente tutto ciò è frutto di una narrazione televisiva, e quindi costruita a posteriori rispetto alle fonti originali. Nel 1986, anno dell'incidente alla centrale nucleare, l'impatto dell'uomo sull'ambiente non era affatto un tema sconosciuto, ma l'accostamento tra quella catastrofe e il cambiamento climatico è immediato solo per un autore o uno spettatore del 2019: il primo lo suggerisce, il secondo è pronto a recepire quel feedback. Idem per le Cronache del ghiaccio e del fuoco, a cui Martin iniziò a pensare all'inizio degli anni '90:
È ironico perché ho iniziato a scrivere Game of Thrones nel 1991, molto prima che si parlasse di cambiamento climatico. Ma sicuramente c'è un parallelo qui. Gli abitanti di Westeros combattono le loro battaglie individuali rispetto a potere, status e salute. E tutto ciò li distrae, così che ignorano la minaccia dell'inverno che sta arrivando e che potrebbe distruggere loro e il mondo. (...) Mentre ci disperiamo e spendiamo così tante energie, esiste la minaccia del cambiamento climatico, che per me è provata dalla maggior parte dei dati e dal 99,9% della comunità scientifica. E che ha il potenziale per distruggere il nostro mondo.
Anche Craig Mazin, autore di Chernobyl, condivide questo tipo di lettura per la propria opera:
La lezione più importante di Chernobyl è che, per quanto ci raccontiamo la storia che vogliamo, facciamo finta che la verità sia malleabile e che possiamo utilizzarla come un giocattolo, alla verità tutto questo non interessa. La verità fa ciò che deve fare. (...) Possiamo raccontarci che il cambiamento climatico non è reale, ma al clima questo non interessa. Le inondazioni, i venti, gli oceani, a loro non interessa, continueranno a fare quello che devono. Al reattore nucleare a Chernobyl non interessava che i sovietici insistessero sul fatto che fosse senza problemi. Ha fatto quel che ha fatto. La verità non è un gioco, e non abbiamo il controllo su di essa.
Il cambiamento climatico si presta ad una narrazione per metafore, anche se non sappiamo se questo sia un bene o un male. In ogni caso, per quanto riguarda Chernobyl questa può lavorare sull'evento immediato e localizzato. Le conseguenze devastanti dell'incidente si ripercuotono per anni e anni, ma possiamo identificare facilmente il momento e il luogo esatto dell'origine, e ciò aiuta la comprensione e l'immedesimazione.
In Game of Thrones gli Estranei e questo generico "inverno" che li accompagna sono molto più sfumati e diluiti nella loro presenza, tanto che la loro stessa genesi viene raccontata come un mito. Nelle prime stagioni allora la serie fantasy ce li raccontava tramite le conseguenze concrete da essi generate: la divisione rigida provocata dalla Barriera, le masse dei Bruti che scendevano da nord. Quindi un percorso laterale all'interno di una metafora: i flussi migratori come risposta alla negazione di un problema. A questo proposito è recente la definizione "climate apartheid" coniata da un esperto delle Nazioni Unite che commenta l'impossibilità per una parte dell'umanità di sfuggire alla crisi.
Eppure, pur nelle loro problematizzazioni e metafore, entrambi gli show contengono una complicazione: la loro soluzione, come metodo, non è applicabile. In Chernobyl il disastro è ormai alle spalle, e si tratta solo di contenere il possibile intervenendo su un'area ampia, ma con dei margini definiti. In Game of Thrones qualunque personaggio (Jon, Daenerys, Cersei, Tyrion) si convince dell'esistenza della minaccia solo quando ne ha testimonianza diretta. Piccole differenze che non tolgono nulla al discorso di principio, ma che sollevano alcune questioni sulla difficoltà nel trattare in modo diretto un tema di importanza capitale.
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Fonti: The Guardian - R29 - NYT