Hanna, il nostro incontro con David Farr e Mireille Enos: "L'attacco della prima puntata ha spaventato i produttori"
Il nostro incontro con il creatore della serie tv Hanna e con Mireille Enos
“Questo è un thriller politico, mentre Joe Wright ne aveva fatta una specie di favola in cui Hannah è Dorothy”. Così, in poche parole, David Farr riassume l’approccio della serie “L’altra storia che noi raccontiamo è quella di una ragazza che non ha mai incontrato nessuno e deve capire chi è. La televisione è il mezzo perfetto per raccontarlo, perché non ti serve una pressione intensa ma una costante. Dal 2000 ad oggi la tv sta avendo lo stesso boom di creatività che abbiamo visto nel teatro durante il periodo shakespeariano, non è diverso”.
L’inizio della prima puntata è molto poco convenzionale e sembra non rispettare le aspettative…
DAVID FARR: “Sì, ha spaventato molti produttori e per questo dura poco, perché temevano che confondesse il pubblico. Già sette minuti sarebbe stato troppo. Ma è una questione di istinto.Io volevo che partisse così perché è propedeutico al momento in cui queste due ragazze si incontrano nel deserto, che è fantastico perché sono entrambe perse in ogni senso e lo spettatore deve saperlo. Hanna ha lasciato la sua famiglia come l’altra ragazza, sono vestite diversamente ma sono la stessa cosa, una ha le infradito e l’altra un fucile”.
Tutta la serie mescolerà i toni e i generi?DF: “Sì, è qualcosa che mi viene istintivo e alla fine rimane misterioso pure per me, parlo del bilanciamento. So solo che se sei onesto con le scelte che hai fatto inizialmente poi il prodotto viene bene. E in Hanna c’è l’aggancio forte del fatto che lei, dal punto di vista esistenziale è molto pura”.
È molto complicato tenere ritmo e tono coerente tra diversi registi?
DF: “Non se ci parli molto. Ad esempio Sarah Adina Smith è molto ambientalista quindi spesso devo fermarla quando indugia troppo nella ricerca di poesia nella natura, perché in certe scene non serve. Ad ogni regista durante le letture del copione cerco di spiegare di volta in volta cosa sia importante e ci serva. Così li guido”.
Ogni personaggio ha due facce però no?
MIREILLE ENOS: “Tutti nella nostra vita siamo qualcosa al lavoro, magari un amministratore delegato che fa piangere gli impiegati e poi a casa ci sediamo a talvolta con i bambini. Nella serie cerchiamo di raccontare questo, declinare i personaggi diversamente. In questo Esme Creed Miles è perfetta, noi interagiamo più che altro verso la fine della stagione ma ho notato che la maniera in cui è così naturale e semplice davanti alla videocamera è molto interessante”.
C’è voluto molto per sceglierla?
DF: “Abbiamo fatto provinato centinaia di ragazze. In tutta sincerità pensavo avremmo preso una scandinava ma poi è arrivata lei, dall’Islanda. Il provino se l’è fatto da sé, era la scena delle lingue del primo episodio ed era incredibile. C’è in Esme una qualità che non si insegna, non fa molto ma è lo stesso molto chiara, qualcosa di intangibile e magnifico”.
ME: “Io sapevo solo che all’inizio protegge un segreto importante ma ero in grado di immaginare da subito quale sarebbe stato (e avevo ragione!). Adoro la storia di Hanna, proprio la sua traiettoria”.
Secondo voi chi è il pubblico potenziale?
DF: “I ragazzi. Io l’ho fatto vedere a mia figlia di 13 anni e lei ha amato come una giovane ragazza sia al comando di tutto”
ME: “Le piattaforme cambiano proprio il pubblico, l’ho visto con The Killing, quando è passata su Netflix ha avuto un’altra vita”.
Avete cambiato la colonna sonora dei Chemical Brothers!
DF: “Sì, aveva una grandissima personalità ma a noi serviva qualcosa di più malinconico e thriller. Così abbiamo una specie di lullaby industrial che centra bene il tono centroeuropeo che ha tutta la serie evitando la componente cartoon”
Avete in mente una possibile seconda stagione?
DF: “So solo che se questa prima avrà successo dovremo sbrigarci con la seconda. So già cosa mi affascina esplorare e dove vorrei andare. Amazon prende decisioni in modi che sono misteriosi per noi, ma sono molto gentili. La cosa buona è che hanno un team piccolo, io parlo con due persone sostanzialmente ed è bello non ricevere 28 bigliettini con correzioni e notazioni. Rispetto agli studios tradizionali le piattaforme di streaming sembrano più leggere, hanno questo feeling da startup. Al contrario Hollywood non si fida degli artisti, rischi e budget sono troppo alti, per questo fanno film inseguendo un pubblico mondiale, ed è sempre complicato poter fare qualcosa per tutti”.