Orange is the New Black (sesta stagione): la recensione in anteprima
Le nostre impressioni in anteprima sulla sesta stagione di Orange is the New Black
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La stagione rappresenta la chiusura necessaria di quella che, in prospettiva, emerge come una trilogia ideale che ruota intorno alla rivolta dello scorso anno. La quarta stagione si era chiusa con l'esplosione di rabbia seguita all'uccisione di Poussey. La quinta stagione poggiava interamente su quel cliffhanger che si tramutava nel prologo necessario di tre intense giornate all'interno del carcere di Litchfield sotto il controllo delle detenute. La sesta stagione, è evidente, ragiona sulle conseguenze della fine della rivolta, sul destino di quasi tutte le detenute, sugli eventi gravissimi di quel finale, che in qualche modo dovranno essere affrontati. In questo senso è un lunghissimo epilogo quello che Piper e le altre dovranno affrontare.
È un carcere più duro rispetto a quello che siamo stati abituati a vedere per cinque stagioni. Se l'arancione delle tute scompare, a seguirlo è anche il verde della zona all'aria aperta nella quale eravamo soliti veder interagire le detenute. Quello sfogo viene meno nel momento in cui il carcere impone ritmi più serrati, spazi più stretti, un minore senso di libertà di movimento all'interno della struttura. Certo, Litchfield rimane anche il grande contenitore del grottesco, dell'ironia, della bizzarra leggerezza che esplode a sorpresa anche in un contesto così drammatico, ma l'impressione è che quest'anno il tono sia un po' più severo. Orange is the New Black in ogni caso riesce a compensare qualunque pesantezza di fondo appoggiandosi al puro piacere della narrazione, strada da sempre vincente.
Si soffre un po' durante i flashback, soprattutto quelli su personaggi che già conosciamo, e in generale la stagione perde qualcosa rispetto alla particolarità dello scorso anno, ma ancora una volta Orange is the New Black rimane la vera serie "storica" di Netflix.