Manhunt: Unabomber e Mindhunter: due facce della stessa medaglia
Piccolo confronto a distanza tra Mindhunter e la meno conosciuta, ma altrettanto valida, Manhunt: Unabomber
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Innanzitutto le somiglianze. Ad un primo sguardo sono molte, e non si tratta solo di un logico accostamento tra show che utilizzano l'attività del profiler di menti criminali come motore dell'intreccio. Entrambe infatti vanno oltre il semplice aggancio “accademico” o teorico alla materia, e costruiscono qualcosa che è innanzitutto radicato sulla storia che si vuole raccontare. Una storia che in entrambi i casi prende spunto da fatti reali e quindi è ambientata nel passato. Nel primo caso Mindhunter rappresenta il fondamento dell'analisi dei profiler. Ambientata alla fine degli anni '70, fonda il grado zero dell'analisi dei comportamenti criminali, non più come elementi estranei alla società, ma come mali endemici che in quella stessa società trovano un fondamento. L'ambientazione negli anni '70 ha un forte significato, soprattutto alla luce dell'ambientazione statunitense. C'è infatti il fantasma di Charles Manson dietro tutto, e grande importanza avrà il confronto tra il protagonista Holden Ford (Jonathan Groff) con il killer Edmund Kemper (Cameron Britton). Come facilmente intuibile, in Manhunt: Unabomber invece il confronto - più serrato - è con il pluriomicida responsabile di aver inviato in un arco di circa venti anni numerosi pacchi bomba.
Anche in questo caso si tratta di una serie che, al di là dell'ovvio lavoro di ricostruzione storica – ci troviamo negli anni '90 – lavora in prospettiva, anche da un'ottica interna alla serie, sui grandi mutamenti sociali e tecnologici. In Mindhunter avevamo, come detto, gli effetti di una società in pieno fermento, sconvolta, ma anche ansiosa di trovare nuove prospettive per capirsi. Manhunt: Unabomber, e il pensiero del killer protagonista, sono invece figli di una cultura di fine millennio. Una cultura che ha superato la divisione tra bene e male, forse più egoista, forse meno capace di riflettere e più destinata a subire derive consumistiche e ipertecnologiche. Grande spazio viene infatti lasciato al famoso manifesto di Unabomber, nel quale viene aspramente criticata la civiltà industriale, che avrebbe nelle sue stesse fondamenta le ragioni del suo profondo disagio.