Altered Carbon (prima stagione): la recensione
Alti valori produttivi, buon cast, molta violenza: le nostre impressioni su Altered Carbon, che arriverà il prossimo 2 febbraio su Netflix
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Ci troviamo in un futuro nel quale la morte, intesa come “vera morte”, è stata sconfitta. L'umanità ha trovato il modo di incapsulare la propria coscienza in uno disco, o pila, che può essere reimpiantato dopo la morte in un nuovo corpo, chiamato custodia. Va da sé che la procedura ha un costo, e produce automaticamente delle disuguaglianze in una società in cui i poveri devono faticare per avere un nuovo corpo, mentre i ricchi possono vivere per sempre e addirittura avere copie di scorta della propria coscienza. Accade quindi che il miliardario Laurens Bancroft (James Purefoy), fresco di rinascita dopo il proprio assassinio, assolda un soldato di nome Takeshi Kovacs (Joel Kinnaman) per scoprire il responsabile del proprio omicidio. Lo stesso Takeshi, il cui nome tradisce origini orientali, deve abituarsi a vivere in un nuovo corpo, dopo essere rimasto congelato per secoli.
Questo immaginario fin troppo riconoscibile intrappola Altered Carbon nei primi episodi, soffocandone l'identità. Abbiamo un mistero e un'indagine, che come da classico fanta-noir ci interessano solo perché sono la chiave per entrare in un mondo sconosciuto. Se quel mondo lo conosciamo già, la forza della storia ne perde. I primi episodi della serie tratta dal romanzo di Richard K. Morgan sono densi e carichi di spiegazioni che troveranno un senso compiuto solo nel lungo periodo. In generale la sensazione è che, malgrado l'apprezzabile scelta dei dieci episodi al posto dei canonici tredici, la presentazione della storia risenta di una certa “pesantezza” di fondo, che lavora per ellissi, vicoli ciechi, deviazioni marginali. Non è una questione di cupezza, ma di difficoltà ad abbracciare con una certa “gioia del racconto” la propria mitologia.
Questo almeno per i primi episodi. In effetti nell'avanzamento della storia Altered Carbon trova una propria ragion d'essere. Lo fa grazie ad una visione più calibrata e stratificata sui personaggi principali, e ad un intreccio che tira le fila del discorso e rielabora in chiave più personale ciò che stiamo vedendo. Il cast qui avrà modo di emergere, e vale la pena sottolineare non tanto la prova, soprattutto fisica, di Kinnaman, quanto l'apporto dei piccoli caratteri a supporto. Quelli attraverso i quali la serie trova parte della sua identità. Più che le innumerevoli ferite da taglio subite dal protagonista, ricorderemo infatti un'intelligenza artificiale con le fattezze di Edgar Allan Poe, o il background ispanico della detective Ortega, o un personaggio che rimarrà in disparte per tutta la stagione salvo poi fare un grande ingresso nel finale.
Colpisce come in questo caso, ma non è la prima volta su Netflix, la durata degli episodi presenti delle forti variazioni. Si va dai 45 minuti a puntate da un'ora e 5 minuti circa. Negli episodi più brevi o più lunghi le motivazioni possono essere rintracciate nella natura “episodica” di quelle puntate, ma al tempo stesso rimane la sensazione che si potesse lavorare per ottenere più uniformità (troppi episodi, o comunque troppo lunghi). La serie si fa carico di una certa violenza visiva e di nudi integrali, ma anche qui il centro nevralgico della serie torna per darci un'altra lettura. Nel momento in cui le custodie sono semplici involucri, la violenza e le torture, che siano nel mondo reale o nella realtà virtuale, ne vengono ridimensionate come impatto.
Al di là dello sforzo produttivo apprezzatissimo, nei suoi momenti più ispirati Altered Carbon oppone all'intreccio poliziesco un contraltare di intuizioni che lavorano sull'assimilazione culturale, sociale, religiosa. Dietro il seducente gioco della possessione dei corpi, del rigetto di se stessi, del tema della coscienza e quindi dell'anima, si nascondono altri conflitti. Piccole storie, forse di minoranze tradite (può essere una suggestione, ma gli aiutanti del protagonista non sembrano casuali) e di donne maltrattate, tutte riassorbite in conflitti più grandi. Ma sono solo piccole ombre, anch'esse destinate a perdersi come lacrime nella pioggia.