Mad Men 7x12 "Lost Horizon": la recensione

Tra David Bowie e forti ispirazioni cinematografiche, l'ultimo episodio di Mad Men è un capolavoro

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Spoiler Alert
In these days of wars and rumors of wars, haven't you ever dreamed of a place where there was peace and security, where living was not a struggle but a lasting delight?

Che meraviglia questo terzultimo episodio di Mad Men. Colto, raffinato, emozionante e a tratti anche divertente. Leggiamo l'ennesima riga del biglietto d'addio della serie ideata da Matthew Weiner e, mentre ci avviciniamo alle annotazioni conclusive, ci scopriamo capaci di sorprenderci ancora per una serie che, al settimo anno e dopo circa novanta episodi, ha ancora la forza e la sfrontatezza di rischiare, sperimentare, allungare una mano verso la perfezione e riuscire ad afferrarla senza scottarsi. Lost Horizon è un segmento grandioso, senza dubbio il miglior episodio di questo secondo blocco dell'ultima stagione e forse una delle vette più alte mai raggiunte dalla serie che si appresta a terminare il suo viaggio.

La citazione iniziale è tratta dal film del 1937 di Frank Capra che dà il titolo all'episodio e al quale buona parte delle intuizioni visive e narrative si ispirano, necessaria chiave di lettura per comprendere la puntata. In Orizzonte Perduto si narra di un gruppo di cittadini occidentali che, a causa dei tumulti crescenti in Cina, sono costretti al rimpatrio. Tuttavia il loro piccolo aeroplano viene dirottato e condotto verso ovest – in direzione completamente opposta a quella desiderata – per poi schiantarsi nei pressi dell'Himalaya. Qui i sopravvissuti scoprono tra le nevi una città delle meraviglie, un'utopia nota con il mitico nome di Shangri-La dove la vita è lunghissima e felice, dove ognuno ha il proprio posto, dove il male non esiste. Allora la città non è solo un posto tangibile, ma più un luogo della mente, un'aspirazione, l'alternativa al "sogno americano" che in questo caso si trova ad est, che sembra essere la destinazione prefissata e irrinunciabile, e invece è solo una delle strade che conducono alla felicità.

1970. "I’m Don Draper from McCann-Erickson", questo è il nuovo attributo con il quale il protagonista si presenta dopo il veloce, e feroce, smantellamento della SC&P che era stato raccontato in Time & Life. Lost Horizon racconta, con una visione corale che prosegue nella scia tracciata dal precedente episodio, il trauma del cambiamento, l'ennesimo nelle vite degli ex soci. Qualcuno si adatterà, qualcuno fuggirà, qualcuno dovrà cambiare pelle, qualcuno si ostinerà a rimanere se stesso. Su tutto rimane il ruolo della persona: status sociale e personale che coincidono, misurare il valore dell'uomo – e della donna – come ingranaggio di un meccanismo ormai inceppato, o nel quale comunque Don Draper non si riconosce più. Si può accusare questa seconda parte di stagione di ricorrere a metafore visive fin troppo esplicite, come nel caso dell'appartamento vuoto di New Business, ma non si può negare la loro efficacia.

È drammaticamente essenziale l'immagine del vuoto tra una poltrona e l'altra nella sala delle riunioni in cui Don viene convocato insieme agli altri pubblicitari: un uomo fra tanti che ha come target un uomo fra tanti, quello che vive nel Wisconsin o Michigan, che ama lo sport, vive bene, lavora sodo, non si lamenta, beve birra, produce e compra, compra e produce. Don guarda fuori dal largo finestrone, tra le sagome dei grattacieli un aereo in lontananza. Il protagonista si allontana dalla riunione, si mette in macchina e inizia a viaggiare verso ovest, si allontana sempre più e in direzione sbagliata, come gli ricorderà Bertram in un'onirica sequenza. Cerca inconsapevolmente la sua Shangri-La, lo fanno tutti con mezzi più o meno espliciti in questo episodio, confondendo a più riprese la "ricerca della felicità" (che deve sempre rimanere uno dei nodi centrali quando si analizzano le azioni dei protagonisti) con la "mania del controllo".

Tendere alla libertà aggiungendo, un anello dopo l'altro, nuove catene che li tengono imprigionati al loro ruolo. Pete e Ted ormai completamente assorbiti, ma è più interessante lo scontro verbale tra Joan e gli impiegati e i dirigenti alla McCann. La misoginia che tanto temeva, il ruolo che aveva conquistato a fatica e che aveva paura di perdere sono una dura realtà, e lei preferirà spezzarsi piuttosto che piegarsi al nuovo contesto. Cerca il controllo Betty, che si dà alla lettura di Freud, cerca il controllo Peggy – protagonista di un esplosivo momento creativo con Roger che sembra uscito fuori da un sogno – che si reinventa, prendendosi i suoi tempi e presentandosi con un'atteggiamento che sembra dire "questa è la nuova da cui guardarsi".

E Don? Fallisce, non può far altro. Cerca Diana Baur, ma non capisce che ciò che sta cercando non è personificazione di un ideale, ma l'ideale che dietro quello è nascosto. Per una persona pragmatica, egoista, immersa personalmente e professionalmente nella superficialità come Don Draper è molto facile ragionare per simboli (la pubblicità ne è piena), ma è molto più difficile capire il valore nascosto dietro alla metafora, capire che la Shangri-La che sta cercando, e che continua a cercare dirigendosi sempre più ad ovest come i protagonisti del film, non è un luogo fisico o una persona, ma un luogo della mente, un'astrazione, e che potrà trovare la pace solo in se stesso.

Space Oddity a quel punto è solo il degno coronamento di un episodio perfetto. Come il Major Tom, Don continua ad allontanarsi, finché non riusciremo più a sentirlo.

https://www.youtube.com/watch?v=cYMCLz5PQVw

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