Sons of Anarchy (settima stagione): la recensione

Diamo l'addio a SAMCRO con l'epilogo di Sons of Anarchy: scopriamo come si chiude la serie di Kurt Sutter

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Spoiler Alert
"What happens at the end of the day?"/"The bad guys lose."

E infine, a sette anni dal debutto su FX, l'ultimo giorno dei Sons of Anarchy è arrivato. La tragedia narrata da Kurt Sutter, che negli anni è riuscito a prendere le vicende di una banda di motociclisti delinquenti per trarne materiale da epica moderna, raggiunge la sua ultima destinazione. Ed è una fine per certi versi attesa, ma anche intensa ed emozionante, che non cancella le imperfezioni che hanno caratterizzato, soprattutto negli ultimi anni, una serie splendida, ma che ci lascia soddisfatti, magari ansiosi di ricominciare al più presto questo viaggio in sette atti. Tra simbolismi e rimandi più o meno velati alla mitologia interna alla serie, l'erede di The Shield chiude il cerchio come ha sempre fatto: senza compromessi e in sella ad una moto.

L'ultima giornata di SAMCRO si chiude riprendendo idealmente – primo di molti simboli – la coppia di corvi che becca sull'asfalto californiano delle strade che circondano Charming. Iniziava così, con questa immagine, il pilot della serie che aveva debuttato nell'ormai lontano 2008, mostrandoci, sigaretta in bocca e nessun casco in testa, un più giovane Jax (Charlie Hunnam) alla guida della sua moto. Erano i tempi di Clay (Ron Pearlman), di Opie (Ryan Hurst) e di Piney (William Lucking), tutti volti segnati e sacrificati negli anni, chi per onore, chi per vendetta, chi per rabbia, all'ideale e vago bene del charter principale. I tempi dei segreti inconfessabili, delle colpe, dei tragici errori: tutto questo viene spazzato via, per l'ultima e decisiva volta, in "Papa's Goods".

Sons of Anarchy quindi come Breaking Bad, nel senso che la vetta del climax non coincide con l'ultimo episodio, ma in quello che l'ha preceduto. Nella serie di Gilligan si trovava in Ozymandias, cui seguiva un doppio epilogo. Qui invece la grande e attesa tragedia avveniva in Red Rose, con la scoperta della verità sull'omicidio di Tara e l'inevitabile punizione di Gemma. Il resto è l'epilogo necessario, la passerella finale che tira le fila del discorso rimaste ancora in gioco, consegna tutto ad un nuovo inizio – si spera più pacifico per i Sons – e fa uscire di scena, a modo suo, il protagonista della storia. Tutto racchiuso in un episodio tra i più lunghi della serie, che non sfrutta la durata per raccontare più avvenimenti, ma che contrae la vera narrazione in una lunga parte centrale lasciando alle due ali, prologo ed epilogo, uno spazio di manovra mai visto prima.

Lunghissimo è l'inizio dell'episodio, sulle note di Adam Raised a Cain di Springsteen, e altrettanto esteso è il malinconico epilogo con il sottofondo di Come Join the Murder. Sutter come i suoi personaggi: estremo, ostinato, senza mezze misure. Complessivamente più di un quarto d'ora di episodio, sommando la sequenza iniziale e finale, lasciato alla musica, alle panoramiche generali che ormai erano diventate il marchio di fabbrica della serie. E ovviamente sparatorie, un ultimo inseguimento – quasi in memoria dei vecchi tempi – e rancori, su tutti la parte con l'IRA, risolti nel sangue (riappare la figura della vagabonda/morte). Jax si congeda dal suo gruppo accogliendo il primo afroamericano, lasciando il comando al più equilibrato Chibs e a Tig (gli unici due membri originali del charter rimasti), addossandosi le colpe per i peccati commessi e sentendosi più vicino a suo padre di quanto non fosse mai stato.

Sons of Anarchy è la seconda, importante serie a finire nel giro di poche settimane dopo Boardwalk Empire. La serie della HBO era stata la raffinatezza, l'eleganza, ma anche spesso la freddezza: quella di FX tutto l'opposto. Sons of Anarchy è brutale, violento, insensato, colpisce allo stomaco e colpisce forte. Un ammasso di tragedie che muove da un prologo di ispirazione shakespeariana – Jax è Amleto, il fantasma di suo padre lo perseguiterà e detterà il suo rapporto con Clay, vero grande nucleo della storia – e che procede per esagerazioni, forse più a lungo di quanto in grado di reggere. Un codice d'onore spesso difficile da mandar giù, ma coerente con se stesso, che appartiene ad un universo tutto suo, forse lo stesso in cui operavano i protagonisti di The Shield (ovviamente no, ma l'apparizione nella panoramica finale di Walton Goggins, CCH Pounder e del decisivo Michael Chiklis è un'emozione all'interno di un'emozione).

Si apre con un "I've got this" (traduzione di J'ai Obtenu Cette, titolo dell'ultimo episodio della quinta stagione) l'ultima lunga sequenza dell'episodio. E qui davvero Sutter si lascia andare tra nostalgia, simboli e un campionario molto estremo di ciò che Sons of Anarchy è sempre stato, anche in quest'ultima stagione (ahinoi forse la minore del lotto). C'è un effetto conclusivo in CG povera, un'esecuzione troppo estesa che si innamora di se stessa, un inseguimento che somiglia più ad un corteo funebre (forse è questa l'idea). Ma c'è anche il sangue e l'asfalto, la colpa e lo schianto conclusivo, che non possono lasciare indifferenti. "It's been one hell of a ride".

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