Il più grande insegnamento di Harold Ramis

Harold Ramis non c'è più, ma il suo lascito artistico resta intatto, insieme al più grande insegnamento che è riuscito a impartire al sottoscritto...

Condividi

Non sapevo bene come impostare l'articolo dedicato alla memoria di Harold Ramis.

Un po' per la doccia fredda di ieri pomeriggio – ho dovuto scrivere una di quelle notizie che proprio non avrei mai e poi mai voluto redigere – un po' perché mi sono chiesto perché valesse la pena mettere su piazza quell'intima relazione che si viene a stabilire fra una persona (il sottoscritto in questa circostanza) e un talento di Hollywood (anzi, di Chicago) che non c'è più. Ero pronto a comunicare, con una certa mestizia, ad Andrea Francesco un laconico “Non penso sia il caso”.

Poi, ieri notte, è accaduto l'inatteso.

Stavo a letto, rubando come al solito decine di minuti preziosi al sonno ristiratore spulciando il twitter feed delle star del cinema che piangevano la morte di questo sagace e cortese artista a tutto tondo, quando, a un tratto, m'imbatto in una foto postata da Judd Apatow

Nello scatto, un giovanissimo Apatow e un Harold Ramis intorno alla trentina, entrambi genuinamente sorridenti. Sulla faccia del primo tutta la soddisfazione scaturita dall'aver appena intervistato il proprio idolo, nell'altra tutta la gentilezza di una persona nota per la sua cordialità.

Il retroscena dell'occasione viene raccontato negli extra di Funny People, ad oggi il più profondo film scritto e diretto da Judd Apatow, una sentita, commovente riflessione sul successo cinematografico, sulla relazione fra una star ormai arrivata e una alle prime armi, il tutto permeato da una sensibilità marcatamente jewish.

Se Judd Apatow, ispirandosi alla propria gioventù, ha girato una pellicola lunga due ore e mezza in cui ha parlato, fondamentalmente, di sé stesso e del rapporto con tutti quegli artisti che hanno formato la sua sensibilità di autore, perché io avrei dovuto tirarmi indietro solo per evitar di leggere i deliri eventuali di qualche trollone telematico?

Non sarebbe stato giusto nei confronti di un genio che, magari sottovoce, ha saputo insegnarmi una cosa fondamentale.

Devo ad Harold Ramis l'aver accettato, anzi, l'aver trasformato in mio punto di forza il fatto di essere, fin dalla più tenera età, un nerd (e ora non c'è bisogno di disquisire sulle derive del termine e l'eventuale deriva geek). Di aver imparato ad amare il mantenimento di una posizione “centralmente defilata” in quello che faccio, di essere protagonista non inquadrato dal cono di luce del riflettore.

Da piccolo, potreste averlo intuito da uno degli ottomila articoli in cui parlo di Ghostbusters, non sognavo di diventare un calciatore, un attore o un astronauta.

Volevo diventare un acchiappafantasmi armato di zainetto protonico.

Essendo cresciuto durante gli anni ottanta, quando giocavo con i miei coetanei di sette/otto anni a “fare il Ghostbusters”, impersonavo, giocoforza dato che già portavo gli occhiali correttivi per l'ipermetropia, Egon.

E la cosa non m'infastidiva, anzi. Egon, insieme a Peter Venkman, era l'acchiappafantasmi più fico. Laddove Bill Murray metteva in scena tutto il suo istrionismo, il suo cinismo da puttaniere, Harold Ramis teneva le fila di tutto quello che accadeva, consegnando alla storia del cinema alcune delle battute e linee di dialogo più incisive che si siano mai sentite.

La stampa è morta.

Io non scherzo mai.

Colleziono spore, muffe e funghi.

Mai incrociare i flussi.

Immagina che la vita come tu la conosci si fermi istantaneamente e ogni molecola del tuo corpo esploda alla velocità della luce.

Prima dell'attuale esplosione di celebrità di personaggi di fiction e non solo che una volta sarebbero stati inquadrati nella categoria dei “looser” - deflagrazione dovuta principalmente al fatto che le redini di Hollywood e dello studio system sono rette ora da individui che negli anni ottanta erano dei ventenni occhialuti - Harold Ramis ha insegnato a una moltitudine di noi che essere nerd poteva essere un vantaggio o quantomeno un'arma da utilizzare per farsi strada nella giungla della vita.

Perché c'è chi usa la bellezza e l'aspetto fisico, e c'è chi usa una battuta pronunciata in tono imperturbabile, tanto da lasciare all'interlocutore il dubbio: “ma è serio o mi sta prendendo per i fondelli?”.

Un insegnamento di cui faccio tesoro ancora oggi.

L'Harold Ramis persona invece mi ha insegnato ad essere sempre in prima linea senza dover necessariamente esercitare pressioni eccessive sul mio carattere. Anche se si è sempre visto molto poco perché, fondamentalmente, non si è mai sentito di casa a Los Angeles e si è sempre mantenuto il semplice ragazzo di Chicago, ha avuto un ruolo di spicco all'interno dello sviluppo della moderna comicità americana, come vi ha già spiegato Gabriele col suo articolo. E questo gli è sempre stato riconosciuto a Hollywood non solo ora che le star hanno affidato a Twitter i loro In Memoriam.

Ecco, nel praticare la mia professione – in cui mi basterebbe riuscire ad avere un successo anche pari a un centesimo di quello avuto da Ramis – cerco di conservare un approccio che non va a pervertire o forzare la mia indole.

Non amo dover trascorrere mezza giornata in una metropolitana stipata come un carro bestiame per dover attraversare una metropoli da un capo all'altro per raggiungere la hall di un albergo gremita di persone in cui devi quasi fare a botte, non amo dover ascoltare in conferenza stampa le domande talvolta sciocche di alcuni miei colleghi, detesto i sorrisi di circostanza di chi sarebbe pronto a darti una coltellata nella schiena appena ti volti, non apprezzo il trambusto eccessivo, non mi frega di fare foto col Vip di turno per stare poi a postarla su Facebook e, soprattutto, preferisco avere l'opportunità di stabilire una situazione più intima in quei dieci-venti minuti in cui, di solito, devo intervistare questo o quel talent.

Sono orgoglioso di poter dire che, pur senza risiedere nella città che in Italia è il fulcro dell'attività stampa cinematografica, Roma, ho ricevuto nel corso del tempo gli attestati di fiducia professionale da parte di persone che, magari, non mi hanno mai neanche visto se non in un qualche videoblog di BadTaste. Mi sto guadagnando, giorno dopo giorno, la possibilità d'intervistare e d'incontrare quelle persone che fino a qualche anno fa vedevo sulle copertine delle Vhs prima e dei Dvd poi senza per questo dover rinunciare a quello che rientra maggiormente nelle mie corde. E non parlo, banalmente, di vita comoda sia chiaro: quelle tante giornate in cui stai davanti al computer dalle 9 di mattina all'1 di notte sono stancanti a prescindere dalla località geografica in cui ti trovi. Solo che, avendo la possibilità di scegliere, preferisco affrontarle da una stanza dal cui balcone riesco a vedere il mare.

Moltiplicando questo concetto all'ennesima potenza, otteniamo Harold Ramis. Un creativo che ha influenzato una larga fetta della nuova Hollywood mantenendo sempre l'attitudine regolare dell'abitante di Chicago, senza abbracciare lo stereotipo della star fuori dal mondo con villa faraonica a Beverly Hills.

Essere sempre sé stessi e trasformare tutto ciò in un vantaggio, anziché in un handicap.  

Continua a leggere su BadTaste