Zootropolis, la recensione

Il più classico degli stilemi disneyani, gli animali antropomorfi, in Zootropolis viene utilizzato per piegare la storia attorno ad un'unica idea

Critico e giornalista cinematografico


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Delle molte teste che hanno scritto e diretto Zootropolis quella più riconoscibile e di cui si sente maggiormente la mano è l’autrice di Frozen e Ralph Spaccatutto, Jennifer Lee. Il suo mondo è quello che pare aver dato origine a questa storia di un’eroina coniglio in un mondo di predatori, una ragazza di campagna con un destino nella coltivazione che contro ogni regola della natura decide di entrare a far parte delle forze dell’ordine in città. Minuscola nelle proporzioni rispetto ad elefanti, ippopotami, leoni e tutti gli altri poliziotti la coniglietta si allea con un altro reietto, una volpe furba e truffatrice che è finita ad aderire al proprio stereotipo perché tutti l’hanno sempre considerata tale. Insieme porteranno a termine la più classica avventura contro una minaccia che rischia di mettere a repentaglio la vita di tutti.Non fosse un’avventura spensierata questo film potrebbe essere una dichiarazione politica

Non è la fattura di Zootropolis ad impressionare (come sempre inappuntabile ma di certo nemmeno sopra agli standard Disney di questi ultimi anni) quanto lo spirito che lo anima. La metafora animale, il fatto cioè di avere personaggi antropomorfi, è un classico dell’animazione disneyana ma qui è utilizzata per prendere di sponda il tema della discriminazione. I mille modi diversi in cui ognuno è etichettato e le diverse conseguenze di questo atteggiamento sociale sono l’unico vero contenuto della storia, quello a cui ogni elemento dell’intreccio rimanda. Non solo la coniglietta ha l’etichetta dell’inadeguata all’azione ma anche le bestie feroci hanno le loro, infatti come ogni animale tradizionalmente ha un carattere (volpe furba, coniglio timoroso e via dicendo) così questi personaggi così vicini alle persone reali sembrano cercare di sfuggirgli.

Non è la prima volta che la Disney traccia una parabola morale a favore dell’integrazione (anzi!) ma forse è la prima in cui, invece che parlare dei massimi sistemi, prende di mira determinati problemi con decisione e forza. La prima in cui anche i cattivi sono un prodotto del problema affrontato dalla protagonista, una conseguenza nefasta della discriminazione. Non fosse un’avventura spensierata questo film potrebbe essere una dichiarazione politica, non fosse contaminato da un grande umorismo e da una coinvolgente voglia di divertirsi potrebbe essere un’opera sfrontata e provocatrice. Tuttavia, proprio per questo suo atteggiamento, risulta così efficace. Esplicitamente indirizzato al pubblico femminile poiché pieno dei contrasti, delle dinamiche, dei problemi e anche delle soluzioni che appartengono a quel mondo (rubando anche un po’ dell’uso del ralenti e della voce fuoricampo da Grey’s anatomy nel finale), Zootropolis cerca di non rinunciare a tutto ciò che piace ai bambini in una storia che parla più che altro alle bambine di questioni che interessano soprattutto alle bambine.

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