ZeroZeroZero, la recensione dei primi due episodi | Venezia 76

Asciutta e durissima, ZeroZeroZero si smarca dal rischio di essere simile a Gomorra lavorando su trame non convenzionali

Critico e giornalista cinematografico


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Come in tutte le serie Cattleya, anche in ZeroZeroZero (serie Sky Original presentata al Festival di Venezia) il crimine è la metafora della lotta generazionale. Come in Romanzo Criminale, Gomorra, Suburra (e probabilmente Romulus) c’è una nuova generazione che vuole soppiantare la vecchia. La forza di queste serie è che avviene sempre in modi diversi.

A colpire nei primi due episodi di ZeroZeroZero (arriverà su Sky nel 2020) è proprio questo, l’ennesima maniera diversa in cui Leonardo Fasoli (head writer già di Gomorra) con Mauricio Katz (sceneggiatore di Maniac) e Stefano Sollima (ovviamente anche regista) sono riusciti a trascinare delle seconde generazioni nel giro più grande. ZeroZeroZero è ambientato in tre paesi e almeno in due di questi c’è uno scontro generazionale.

Andando per gradi nella prima (a dire il vero molto confusa) puntata vediamo un anziano boss calabrese nascostissimo in un bunker resistere ai tentativi del nipote di fargli le scarpe; vediamo una famiglia americana che lavora con il trasporto merci via nave in cui il padre cerca di istruire a suo modo i suoi due figli al business; vediamo dei paramilitari messicani impegnati a fermare il traffico di droga. La puntata è confusa perché è volutamente ingarbugliata la maniera in cui gli eventi in un paese si rivelano influenzati da ciò che accade nell’altro. Non ha insomma quella maniera netta e diretta che aveva Gomorra, nei suoi primissimi episodi, di introdurre la storia.

Nella seconda invece cominciamo ad intuire i problemi, gli scontri e gli obiettivi dei personaggi: il vecchio boss vuole tornare rilevante e rispettato per questo fa un grande ordine di cocaina; in Messico chi lo sta preparando deve proteggerlo dalle forze dell'ordine fino a che non può essere spedito; in America la famiglia che fa da intermediaria con le sue navi container conta sull’arrivo dei molti soldi del boss calabrese per rientrare dell’ingente spesa e non andare a gambe all’aria.

Ad impressionare davvero è in particolare il nucleo americano della trama, quello che coinvolge la famiglia in cui Dane DeHaan è il figlio con problemi di salute, Gabriel Byrne è il padre che ha sempre gestito gli affari e Andrea Riseborough la figlia grande che erediterà la società. Senza sorprese è quello recitato meglio (che brava Andrea Riseborough! Un personaggio scritto benissimo di cui vorresti subito sapere tutto) ma anche quello con le dinamiche più particolari. Accadrà qualcosa già al secondo episodio poi che li renderà il doppio più interessanti e promettenti, con il miracolo di raccontarli come unitissimi eppure mai smielati.

Se quindi si può rimanere interdetti dalla prima puntata già nella seconda ZeroZeroZero incalza e non ce n’è per nessuno. Sollima e Fasoli, quando tutto gira per il verso giusto, sono una forza. La scrittura crea una dimensione pazzesca, lavorando sul genere crime con una libertà incredibile e come sempre una ricerca molto profonda sui veri strategemmi, le vere dinamiche e le vere trovate della malavita (più incredibili di ogni invenzione possibile), mentre la mano di Sollima in regia mette in scena questi copioni con un rigore asciutto che è una benedizione. ZeroZeroZero confeziona sequenze d’azione incredibili con il budget di una serie tv, muove inseguimenti e imboscate senza perdere mai tempo. L’uomo che ha donato alle serie Cattleya il look e il passo giusto per accreditarsi a livello mondiale qui asciuga ancora di più la messa in scena, lavora benissimo con gli attori ed è capace di grandissima sintesi.

Nel momento migliore dei primi due episodi c’è tutta la sua firma. Vediamo il protagonista del segmento messicano durante una scena d’azione ascoltare in cuffia le parole di un predicatore. Ci sono insieme i montaggi musicali di Romanzo Criminale e le sequenze d’azione di Gomorra, perché da sempre Sollima gioca a scollare audio e video nelle scene madri, cioè avere una colonna sonora (spesso musicale) che accompagna i montaggi d’azione. Qui lo fa con delle parole che marciano in senso contrario alle azioni e contemporaneamente fanno anche il lavoro di dirci molto del personaggio con un’armonia impeccabile con il montaggio. Cinema sofisticatissimo fatto in una serie tv.

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