Zamora, la recensione

Dentro Zamore c'è una storia sentimentale di provincia, ma anche una di qualcuno rimasto indietro, ma anche una mentore allievo e tutto giusto

Critico e giornalista cinematografico


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La recensione di Zamora, il primo film da regista di Neri Marcorè, in uscita al cinema il 4 aprile

Nel disastro apparentemente senza fine che sono gli esordi alla regia degli attori e delle attrici Zamora è un’isola felice. L’esordio di Neri Marcorè è un film diretto con reale attenzione al lavoro del regista, non fatto puntando l’obiettivo su chi parla, ma messo in scena nel senso pieno del termine. È un film molto scorrevole con una certa felicità realizzativa, una piacevolezza che permette a tutta la nostalgia di cui è intriso di non stuccare. C'è proprio un piacere diverso dal solito nel mettere in scena e fare cinema, uno che ricorda le parti più riuscite dei film di Pupi Avati, quelle in cui la malinconia si sposa alla nostalgia e al racconto delle persone ordinarie in situazioni comuni dalle quali escono piccoli sentimenti coinvolgenti. A un certo punto sarà scattata una foto di squadra e diventerà già foto invecchiata, rigata e rovinata, l’attimo vissuto già vecchio, già passato, già storicizzato.

Questa è una storia sostanzialmente di romanticismo da sconfitti in provincia, in cui nessuno è veramente bello (anzi, c’è un bel lavoro sull’ordinaria bruttezza) e nessuno è veramente attraente, eppure (o forse proprio per quello) sentiamo bene il sentimento che questo ragazzo assunto in un’azienda della grande città prova non solo nel sentirsi sradicato da una realtà in cui era a suo agio, messo alla prova da una nuova vita in città, ma anche attratto da una signorina in ufficio. Ci sono tantissime spinte ben equilibrate in questo protagonista (andrebbe aggiunto anche il fatto di essere indietro rispetto al suo tempo, non al passo delle nuove relazioni uomo/donna). L’attrazione, soffusa dalle buone maniere anni ‘60 e dal formalismo aziendale, si avverte.

Però il film è un altro ancora, è la storia di come questo ragazzo che pare l’unico a non sapere niente di calcio, incattivito per una delusione amorosa e spinto dal direttore, decida di diventare portiere e anche bravo, per farla pagare a tutti. Così si fa dare lezioni da un grande portiere caduto in disgrazia per pochi soldi. Sia il mentore che l’allievo usciranno migliorati da questo rapporto.. C’è insomma in realtà un film dalla struttura americana chiuso dentro uno di Pupi Avati, un film sportivo mentore-allievo, in cui migliorare la vita attraverso il miglioramento atletico. Che sorpresa!

Neri Marcorè (che, strano a dirsi, è quello che nel cast è meno a fuoco) non solo conduce bene il film che ha scritto con Paola Mammini e Maurizio Careddu ma gli dà proprio un piglio personale. C’è un’attenzione alle scenografie non comune, come anche una al trucco, alla dimensione visiva (c’è una festa mesta in azienda eccezionale) e poi al casting. Zamora è pieno di comici, tutti presi in ruoli da caratteristi e tutti molto bravi, sui quali regna Giovanni Storti, all’apice di questa sua nuova carriera da caratterista.

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