Zamora, la recensione
Dentro Zamore c'è una storia sentimentale di provincia, ma anche una di qualcuno rimasto indietro, ma anche una mentore allievo e tutto giusto
La recensione di Zamora, il primo film da regista di Neri Marcorè, in uscita al cinema il 4 aprile
Questa è una storia sostanzialmente di romanticismo da sconfitti in provincia, in cui nessuno è veramente bello (anzi, c’è un bel lavoro sull’ordinaria bruttezza) e nessuno è veramente attraente, eppure (o forse proprio per quello) sentiamo bene il sentimento che questo ragazzo assunto in un’azienda della grande città prova non solo nel sentirsi sradicato da una realtà in cui era a suo agio, messo alla prova da una nuova vita in città, ma anche attratto da una signorina in ufficio. Ci sono tantissime spinte ben equilibrate in questo protagonista (andrebbe aggiunto anche il fatto di essere indietro rispetto al suo tempo, non al passo delle nuove relazioni uomo/donna). L’attrazione, soffusa dalle buone maniere anni ‘60 e dal formalismo aziendale, si avverte.
Neri Marcorè (che, strano a dirsi, è quello che nel cast è meno a fuoco) non solo conduce bene il film che ha scritto con Paola Mammini e Maurizio Careddu ma gli dà proprio un piglio personale. C’è un’attenzione alle scenografie non comune, come anche una al trucco, alla dimensione visiva (c’è una festa mesta in azienda eccezionale) e poi al casting. Zamora è pieno di comici, tutti presi in ruoli da caratteristi e tutti molto bravi, sui quali regna Giovanni Storti, all’apice di questa sua nuova carriera da caratterista.