Young Rock (prima stagione): la recensione
Young Rock azzecca quello che non poteva sbagliare: è nostalgica, leggera e così esagerata da sembrare un match di wrestling.
Quando si tratta di recitazione, l'azione di “rubare la scena” può avere un valore positivo solo nel 50% delle volte. La restante parte è segno di un attore che non riesce a stare nei ranghi e che fa esplodere la propria personalità (e quindi anche l’ego) per apparire più di tutto il resto rovinandolo. In Young Rock non c’è alcun dubbio lessicale: i riflettori sono sequestrati per 30 minuti a puntata e sparati al massimo su Dwayne Johnson, in arte The Rock. Ed è questo il bello.
Young Rock è una grandissima apologia semiseria di The Rock rispetto al suo status di celebrità, senza che nessuno ne abbia mai sentito il bisogno. Un po' come i tormenti interiori di Zero Calcare, così anche lui sembra temere di non essere più genuino come un tempo, e usa la serie come auto terapia. Facilissimo sbagliare!
A condire il tutto c’è Randall Park, nei panni di se stesso, che intervista con ammirazione e reverenza il collega. Si sprecano quindi riferimenti pop e strizzatine d’occhio che sfiancherebbero in qualsiasi altro prodotto. Invece Nahnatchka Khan e Jeff Chiang (già ideatori di Fresh Off the Boat) scrivono gli episodi come se uscissero veramente dalla bocca del suo attore protagonista. Pur nella grottesca esagerazione si ritrova quella sinergia tra Dwayne Johnson e i suoi personaggi che tanto è sottolineata in ogni apparizione vera pubblica. Un uomo del popolo, che ama le strade dell’America, il luogo del sudore e della fatica che l’hanno plasmato nel diventare quello che è oggi. Un forzuto avventuriero, che esce dalla zona di comfort per realizzare i suoi propositi.
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Lontano però dall'eroe Springsteeniano, Young Rock si concede di essere talvolta una lettera d’amore alla famiglia estesa del ragazzo, oggi uomo. Quella del Wrestling, costituita dalla generazione precedente del padre Rocky Johnson che l'ha cresciuto. Junkyard Dog, The Wild Samoans, The Iron Sheik, Andre the Giant sono figure caricaturali, ma anche sinceramente ammirate. Spicca in particolare il gigante buono, che ammonisce di non dire mai la parola con la “f” quando si parla di Wrestling: “falso”.
Young Rock ha un sapore anni ’90. Piccoli episodi autoconclusivi che non richiedono grande attenzione. Le rare volte in cui non lo sono si aiuta il ricordo con insistiti flashback alle puntate precedenti. Insomma, un prodotto per un pubblico distratto. Fatto apposta per essere fruito facendo altro: il tempo di mangiare in pausa pranzo o di affrontare un viaggio; come quei video motivazionali che si guardano nei momenti di stanca della giornata per caricarsi. Finita una puntata infatti, ci si sentirà bene, rimotivati. Si ammira come questo ragazzone muscoloso sia in realtà una persona qualsiasi. Se ce l’ha fatta lui, anche chi guarda può riuscirci.
È ovvio che questo gioco ai buoni sentimenti e al culto posticcio di The Rock non può durare più di tanto, e infatti la serie fatica a rilanciare l’attenzione arrivando verso la fine della stagione. Man mano che procede sembra esaurire le idee, salvo qualche piccolo guizzo. Il risultato complessivo è però più che dignitoso, quasi sorprendente.
The Rock non fa della sua vita una parabola memorabile di ispirazione, ma una storia tragicomica. Sembra quasi voler essere un anti-Obama, così perfetto nel suo fascino e savoir-faire. Qui invece c’è un disastro di ragazzo, che vive di espedienti, che si finge quello che non è, che si innamora di ragazze anonime e tutte uguali. Con nessun altro attore avrebbe funzionato. Nessuno sarebbe uscito indenne da un’operazione sulla carta così antipatica (“vi racconto la mia giovinezza dandovi lezioni su come vivere!”) se non The Rock.
Forse perché Young Rock, pur essendo lieve come una piuma, è capace di riciclare bene le idee e gli stereotipi di tanta TV del passato. È tutto così finto da diventare autentico. La serie è costruita a tavolino sia nella finzione (le interviste che vediamo sono parte di una campagna elettorale) che nel prodotto che riceviamo noi spettatori. Se tutto è fatto con estrema consapevolezza, allora ciò che dice in faccia a chi guarda è proprio quello che vuole comunicare. Non ci sono sotto livelli, strati interpretativi. No, la serie è proprio come il suo protagonista: impossibile da fraintendere e diretta.
Il modo in cui costruisce le vicende e le risolve andando a scomodare il padre Rocky Johnson, rivelano sotto la superficie una sincera lettera d’amore per il passato da wrestler, le fatiche e le sconfitte lavorative del genitore. Lo stile ingombrante non soffoca gli occhi ammiranti di un giovane. Lui guarda un mondo fatto di copi enormi che, insieme, sono più che una famiglia, diventano come mura protettive e indistruttibili. È questo che rimane veramente di Young Rock, quel sottofondo di tenerezza sotto un’operazione autocitazionista da cui miracolosamente è uscito indenne.