Yesterday, la recensione

Da un maestro della scrittura e un genio della regia molto legati all'uso della musica al cinema, Yesterday è forse il film definitivo sull'industria musicale

Critico e giornalista cinematografico


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Yesterday, la recensione del film di Danny Boyle scritto da Richard Curtis

Di fronte ad una sceneggiatura di Richard Curtis la cosa più scontata e sicura da fare è mettersi da parte. È quello che è avvenuto con tutti i suoi più grandi successi (Bridget Jones, Notting Hill, Quattro Matrimoni e Un Funerale e che lui stesso ha fatto quando ha diretto Questione di Tempo o Love Actually), ma chiaramente non può accadere quando sulla sedia da regia sta seduto Danny Boyle, che della mano pesante ha fatto un’arte, del ritocco dell’immagine del montaggio visibile e creativo ha fatto un dovere e che anche nel film più controllato che abbia girato (Jobs) è riuscito a lavorare di scenografia in modi clamorosi. L’incontro dei due è un sollucchero cinefilo e commerciale.

Già dal primo momento cruciale del film, quando il musicista senza successo e forse senza talento Jack Malick va a sbattere con la bici in una notte di black out totale nel pianeta, Boyle lavora sotto traccia, annuncia cosa accadrà con uno score che fa crescere la tensione imitando la salita dei violini di A Day In The Life fino all’apice dello scontro che cambia tutto. C’è un tempismo già in questo semplice montaggio che è tutto tranne che semplice.

Jack al suo risveglio sembra essere in un mondo in cui i Beatles non sono mai esistiti. Ci vorrà un po’ e tante incomprensioni perché lo capisca ma Danny Boyle, con un lento zoom in avanti verso il suo volto al centro dell’inquadratura e poi un carrello all’indietro, riesce a suggerire senza parole l’esatto istante in cui gli balena in testa la vaghissima che idea che forse nessuno tranne lui sa chi siano i Beatles.

Sono un paio di dettagli di uno sforzo maniacale su ogni scena finalizzato ad evitare che tutto il lavoro del film lo faccia solo la grande scrittura. Yesterday è tutto alimentato da una magnifica battaglia tra chi mette in scena e chi ha scritto per sorreggere una storia di una semplicità elementare (e come sempre in Curtis dallo scarso valore fantascientifico e la scarsa coerenza interna) che è capace di slittare con grazie verso i massimi sistemi.
Jack Malick ovviamente spaccerà le canzoni dei Beatles per sue e troverà un successo pazzesco. Curtis ha un’idea per ogni snodo, anche solo il fatto di ricordare le canzoni dei Beatles è foriero di momenti di commedia e tenerezza perché, come tutti, Jack non le ricorda perfettamente né riesce a elencare subito tutte le canzoni che sa.

La vera notizia allora è che quando il film supera la sua metà e deve iniziare a tirare le fila del proprio ottimo spunto, invece di morire continua a correre, trova una sottotrama, fa valere i suoi comprimari e cambia di senso. Che il film non si fermi è testimoniato dai molti possibili spoiler che si possono fare sul finale (e che non faremo). Da un certo punto in poi infatti Yesterday non è più un film su un ragazzo che ha il complesso di aver rubato le canzoni che lo rendono famoso, ma uno sul concetto di successo e su cosa sia la musica per noi.

Del resto sia Curtis che Boyle nella loro filmografia hanno raccontato sempre questo, i molti modi in cui la musica intrattiene un rapporto con noi tramite il cinema. Il loro legame con il rock e il pop è così radicato, profondo, sentimentale e personale che spesso nei loro film anche solo un piccolo brano in un momento singolo ha la forza di una colonna sonora intera (si pensi a Il Mondo in Questione di Tempo). Questo film dai presupposti tanto geniali quanto esili gli consente ad entrambi di usare le proprie armi (una scrittura sentimentale e comica formidabile, un occhio per il ritmo e per la lingua delle immagini) per raccontare che effetto abbia su di noi la musica, come funzioni, che rapporto instauri con l’industria e in ultima analisi, in una casetta sulla spiaggia solitaria, cosa ci sia all’origine dei grandi talenti e dei grandi successi.

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