Years and Years (prima stagione): la recensione

Years and Years descrive un futuro prossimo inquietante e plausibile, scegliendo come protagonisti i membri di una normalissima famiglia di Manchester

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Spoiler Alert
Che Years and Years punti più a creare un inquietante affresco del futuro prossimo venturo che non a trattare le dinamiche interne di una tradizionale storia familiare, appare chiaro sin dalle prime scene del suo pilota; da subito, infatti, la serie di Russell T. Davies (Doctor WhoQueer as Folk) ci presenta dei protagonisti - i membri della famiglia Lyon - fortemente legati al proprio tempo, non foss'altro per vicende biografiche e lavorative. Il primogenito Stephen (Rory Kinnear) è infatti un banchiere che deve fronteggiare le incognite di un'economia sull'orlo del collasso, suo fratello Daniel (Russell Tovey) si occupa dei centri d'accoglienza per rifugiati ucraini, la sorella Edith (Jessica Hynes) è un'attivista di fama, impegnata in battaglie politiche in giro per il mondo, e l'ultimogenita Rosie (Ruth Madeley) è una madre single che lavora in una scuola tentando di mantenere il proprio ottimismo a dispetto della sua disabilità.

C'è poi la nonna Muriel (Anne Reid), ignara del cambiamento, posta ai margini della storia per ricordare un passato sempre meno riconoscibile. Ogni fratello si interfaccia con un crescente cambiamento politico in modi che, in tempi normali, sarebbero tranquillamente gestibili. Ma la politica entra in prima linea nella vita di ognuno dei Lyon senza bussare: Daniel, resosi conto di essere sposato con un uomo troppo incline a credere alle fake news, si innamora di Viktor (Maxim Baldry), un rifugiato ucraino gay in fuga dalla persecuzione omofoba in atto nel suo paese; Edith, che protesta in un'isola artificiale costruita dai cinesi, è coinvolta in un incidente nucleare che minaccia di ridurre significativamente la sua aspettativa di vita.

La pragmatica Rosie resta affascinata dalla retorica populista di Vivienne Rook (Emma Thompson), leader del 4 Stars Party, emergente forza politica che a molti ricorderà i principi base di un nostrano schieramento. Rook è una figura in un certo senso misteriosa, seguita pedissequamente dai media, che commette errori grossolani spia della sua totale ignoranza e inadeguatezza a un ruolo politico di qualsiasi tipo. Ciononostante, riesce a conquistare il sostegno della gente grazie a un becero populismo di maniera, che fa leva sulle voglie polemiche di una popolazione per lo più esausta prima ancora che codarda e gretta. Frattanto, Stephen e la moglie Celeste (T’Nia Miller) affrontano il desiderio della figlia maggiore, Bethany (Lydia West), di diventare "transumana", rinunciando alla sua forma fisica per essere interamente trasferita in un cloud, mentre le travagliate vicissitudini economiche del paese mandano in frantumi le loro stabili esistenze.

Sebbene Years and Years non appartenga al genere fantascientifico, i dettagli biotecnologici che Bethany aggiunge al proprio corpo danno i brividi allo spettatore per la loro vibrante verosimiglianza. Lo stesso sentimento si avverte in ogni singola sequenza, in ogni minima pennellata che traccia il ritratto di questo futuro incredibilmente vicino, incredibilmente plausibile. Come molti politici che affollano la scena mondiale odierna, Rook - interpretata splendidamente da Thompson con un cupo accento settentrionale e una sete d'attenzione che le fa dire qualunque cosa pur di focalizzare su di sé i media - non è idealista né tanto meno preparata, ma è convincente e persino simpatica, nonché disposta a sovvertire le premesse di base con cui viviamo la nostra vita.

Sia la storia d'amore di Daniel con Viktor che il matrimonio di Stephen e Celeste rischierebbero di cadere nel cliché, ma si ergono al di sopra della palude della banalità attraverso momenti che mettono in luce i personaggi prima ancora che gli eventi narrati. Il terrore dei tempi bui descritti dalla serie non è mai fine a se stesso, ma si riflette negli occhi dei protagonisti che divengono, nella loro variegata diversità, perfetti traghettatori delle emozioni del pubblico. L'abominio della persecuzione omofoba ci colpisce dritti allo stomaco perché la viviamo seguendo i mutamenti del volto di Daniel, dalla speranzosa fiducia iniziale alla realizzazione che il mondo si sta ergendo contro di lui e contro l'uomo che ha scelto di amare, in una sorta di congiura invisibile atta a distruggere tutto ciò che di potenzialmente bello e felice ci sia nella sua vita.

Years and Years

Russell T. Davies conduce i giochi con una scrittura di raffinata eleganza e tagliente acume. La domanda chiave dei nostri tempi, incentrata su come l'individuo debba reagire a un universo che muta a un ritmo tanto rapido da divenire insostenibile, è stata già al centro di svariate produzioni televisive: Westworld, che ha operato nel regno dell'allegoria per mettere in luce quanto il senso di realtà e irrealtà rischi di diventare sfumato di fronte alla crisi dell'io; Black Mirror da anni ci mostra personaggi che affrontano il cambiamento tecnologico con risultati spesso fallimentari; stesso dicasi per Maniac e svariati altri titoli che prendono in esame il progressivo distacco dell'uomo dal contingente tramite l'ausilio di tecnologie impattanti per la sua psicologia. Years and Years, tuttavia, fa qualcosa di diverso, filtrando il viaggio temporale verso il futuro calandolo in una quotidianità assoluta e rendendo protagonisti persone "normali", avvicinando il domani terrificante che vuole dipingere al nostro presente senza soluzione di continuità e obbligando i propri ordinari eroi a fronteggiare il caos fino al limite della sopportazione.

Non è certo un caso che una serie del genere sia nata in Gran Bretagna, un paese che vive nel ricordo di ciò che è stato, baluardo di un potere che continua a esistere come memoria e reiterazione rituale, ma non più come forza determinante sulla scena mondiale. Non c'è da meravigliarsi che i britannici siano così bravi a raccontare storie che descrivono cambiamenti nelle correnti storiche non come apocalissi che richiedono l'ascesa di eroi ma come maree in aumento che, dato il loro potere incontrastabile, devono semplicemente essere sopportate. L'intuizione brillante di Years and Years sta proprio nel mostrarci come i suoi protagonisti, proprio come noi, non siano quasi mai consapevoli di vivere nella Storia, ma semplicemente di operare in un quotidiano flusso frenetico che sta andando a scardinare le loro certezze. Vita, non Storia.

Partendo dalle conseguenze della Brexit, un orizzonte fin troppo prossimo per i cittadini britannici, la serie ipotizza un crollo finanziario globale, che genera una nazione di persone paurose e sospette che lottano per cavarsela e per mantenere gli stati d'animo che avevano prima che il mondo collassasse. Eppure, ciò in cui la serie eccelle è raffigurare ciò che non cambia a dispetto degli stravolgimenti politici; dopo attacchi nucleari, politiche reazionarie e discriminatorie e l'apparente caduta libera di tutti i paesi europei, i Lyon continuano a riunirsi per festeggiare le loro ricorrenze. Potrebbe sembrare un controsenso comodamente tradizionalista, ma la solidarietà interna al nucleo familiare diviene - nell'ultimo episodio - il motore necessario a dare una spinta decisiva anche ai macro-cambiamenti.

Si badi: Years and Years non cede mai il passo all'individualismo eroico, e sottolinea fino alla fine come i suoi protagonisti siano solo parte di un'onda più ampia. Rispetto al boato che risuona per tutta la stagione, l'ultimo episodio vede i Lyon raccolti in un epilogo più silenzioso, poiché la tecnologia - liberata dalle restrittive maglie del bene e del male e ridotta a uno strumento neutrale - diviene chiave di salvezza e mezzo di purificazione, regalando al pubblico una catarsi emotiva raramente agognata con tanta bramosia. Umanizzando tematiche complesse come i flussi migratori, la crisi economica globale, la tendenza nazionalista imperante e l'avanzata della tecnologia, Years and Years ha scritto una pagina indelebile di storia della televisione, che la si voglia vedere come un efficace esercizio immaginativo o come un vivido, angoscioso monito di ciò che potrebbe aspettarci dietro l'angolo.

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