Year Zero, la recensione
Year Zero affascina più per la capacità di far crescere (e accumulare) tensione piuttosto che per le atmosfere orrorifiche o truci
Fumettallaro dalla nascita, ha perso i capelli ma non la voglia di leggere storie che lo emozionino.
Parlare di pandemie è sempre un esercizio molto complesso; farlo in un periodo come quello che stiamo vivendo oggi, lo è ancora di più. Sembra non sia stata una preoccupazione per Benjamin Percy, sceneggiatore statunitense che stiamo apprezzando in questi ultimi anni per il suo ciclo di storie in casa Marvel su Wolverine e X-Force, ma anche per Year Zero, miniserie in cinque parti pubblicata oltreoceano sotto l’egida di A.W.A., etichetta indipendente fondata da Axel Alonso. Grazie all’ottimo lavoro di Star Comics, abbiamo avuto modo di leggere e apprezzare il buon lavoro di Percy affiancato al tavolo da disegno da Ramon Rosanas.
"Year Zero affascina più per la capacità di far crescere (e accumulare) tensione piuttosto che per le atmosfere orrorifiche o truci"Questo aspetto è centrale nello sviluppo di Year Zero: più che svelare le cause che hanno portato a questa apocalisse (vengono solo in parte accennate nella storia di Sara Lemons) o quali siano le conseguenze a livello mondiale, Percy preferisce concentrarsi sui risvolti umani dettati dal nuovo status quo, conquistandoci con l’attenta riflessione su temi quali la religione e il concetto a questa legato di colpa e punizione, sul tratteggiare un ampio ventaglio di suggestioni che rendono questa esperienza di lettura altamente gratificante.
Presentato con un fumetto horror, Year Zero affascina più per la capacità di far crescere (e accumulare) tensione piuttosto che per le atmosfere orrorifiche o truci. Se ancora ce ne fosse qualche dubbio, questa è l’ennesima dimostrazione dell’ottima capacità di partire da un genere inflazionato negli ultimi anni, per declinarlo in maniera originale e convincente, con un’idea ben precisa di ciò che si vuole trasmettere.
La solidità della scrittura è accompagnata dal tratto graffiato ed evocativo di Rosanas, bravo nel riuscire a imprimere a ogni singola parte del volume una dimensione chiara, ben riconoscibile che possa accompagnarci in questo incredibile viaggio. L’attento lavoro è reso ancora più attraente dalle evocative colorazioni di Lee Loughbridge, abile nell’accompagnare le fasi del racconto con palette precise, che caratterizzano ogni sequenza. Allo stesso tempo, meritano una menzione anche le copertine di Kaare Andrews, contraddistinte da un realismo dal retrogusto inquietante, davvero perfetto per questo tipo di racconto.
Poco altro da aggiungere a un’opera di indubbio valore, resa superba da un team creativo coeso e ben assortito. Ennesimo ottimo fumetto prodotto da una casa editrice che si propone a ricoprire un ruolo importante nel mercato dei comics.
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