Yaya e Lennie - The Walking Liberty, la recensione

Tutto quel che di buono Gatta Cenerentola riusciva a fare con poco, in Yaya e Lennie - The Walking Liberty manca, e l'impressione di confusione gioca contro gli intenti del film

Critico e giornalista cinematografico


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Yaya e Lennie - The Walking Liberty, la recensione

Quale che sia la trama, quali che siano i personaggi, quale che sia l’ambientazione i film animati di Alessandro Rak (spesso scritti, e qualche volta diretti, a più mani) parlano in realtà sempre della stessa cosa: della maniera in cui la cultura napoletana si piega, si plasma e si adatta a contenitori e forme diverse. La sua varietà degli approcci e le possibilità di ibridazione. Sempre diversa, capace di essere contaminata da tutto eppure sempre riconoscibile. Non c’è storia, genere o personaggio che nonostante parta da luoghi e riferimenti lontani poi non possa avere una sua versione napoletana senza perdere la propria anima. Al di là del concetto di glocal, sono storie e invenzioni che raccontano una capacità non comune di lavorare sugli archetipi narrativi e trasformarli.

In questo senso The Walking Liberty è il film più importante di Rak, perché porta questo assunto alle conseguenze più estreme, una storia di un mondo post-apocalittico vago, di quelli con i resti della civiltà precedente e la natura che si è ripresa tutto, con animali mai visti prima, la vita selvaggia ma poi anche le metropoli ipertecnologiche, i selvaggi e i regimi totalitari. Tutto napoletano e (lo vediamo alla fine) nella zona effettivamente della Campania, anche se i riferimenti ci sono chiari e vengono dal cinema di tutto il mondo.

Tuttavia mentre Gatta Cenerentola si basava su una mitologia molto chiara, The Walking Liberty invece è confusissimo, la scrittura è molto scombinata e così lo sono i personaggi. Come di consueto partono da archetipi ma non riescono ad andare poi altrove. Quello che capiamo è che c’è una fortissima idea di ribellione all’autorità, declinata in tante maniere diverse, perché Yaya e Lennie, spiriti liberi, non sono parte della banda di rivoluzionari che a loro volta non sono parte del regime a cui tutti sono insofferenti (ma che al suo interno ha anche persone per bene), ma al di là di quello non c’è niente.

Anche l’animazione inventiva che fa dei budget contenuti un modo per creare qualcosa di diverso (già vista in Gatta Cenerentola) qui non sembra così efficace, e quando a questo si accoppia la fatica a dispiegare l’intreccio e dare un po’ di aria ai personaggi il risultato è che tutto il castello crolla. Così i personaggi rimangono i loro archetipi e anche il contrasto tra mood popolare e potere coercitivo suona di colpo semplicistico e omologato (là dove invece si capisce aspiri al contrario). Questo film animato fa davvero una grandissima fusione di diversità (nei personaggi, nelle lingue parlate, negli scenari e nelle tipologie umane) ma di tutto ciò ne esce solo l’omologazione di intenti verso un ideale di certo forte, ma pure così sbattuto in faccia, pontificato e ripetuto da dare l’impressione che il film si bei della posizione intellettuale che prende.

Il paradosso è che si rischia quasi di finire a fare il tifo per la polizia fascista e per i loro problemi, in un film che non stabilisce mai un rapporto con lo spettatore e finisce masturbarsi da solo con la retorica antipotere, rivoluzionaria e anarchica.

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