Yakuza Kiwami, malavita, yakisoba e UFO catcher - Recensione

SEGA ritorna alle origini di Yakuza, con il remake del primo capitolo della serie: la recensione di Yakuza Kiwami

Un giorno troverò qualcosa di interessante da scrivere qui dentro.


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Quello di raccontare in maniera affascinante il mondo della malavita organizzata giapponese, la yakuza, è un compito al quale SEGA assolve ormai da anni, da quel 2005 nel quale pubblicò, appunto, Yakuza, primo capitolo di una serie arrivata a sette episodi regolari, con Yakuza 6: The Song of Life (ancora inedito in Occidente) ultimo esponente in ordine cronologico. E' lì che risiede gran parte del fascino della saga, nel lasciare scoprire al giocatore un mondo senza dubbio sporco, perché sempre basato sul crimine, ma nel quale persistono ancora ideali, valori, nel quale contano le gerarchie e la fedeltà. Per alcuni, sempre meno in realtà, non per tutti, ed è nei panni di questi pochi che SEGA pone il giocatore, loro meno cattivi tra i cattivi, al punto di essere praticamente buoni: tra di essi Kazuma Kiryu, il dragone della famiglia Dojima, personaggio principale della serie, protagonista di quel Yakuza Kiwami che dell'originale del 2005 è remake totale a livello tecnologico, perché son passate due generazioni di console, fedelissimo nella struttura e nel gameplay.

Yakuza Kiwami è, come gli altri capitoli della serie, un picchiaduro, né più né meno, quanto di più vicino ci sarebbe ad una ipotetica versione moderna del picchiaduro a scorrimento da sala, se il genere ancora esistesse e non fosse stato fagocitato dall'action duro e crudo (e spettacolare). Da queste parti nessuno criticherà mai un Bayonetta, ma la mancanza della rissa nella sua forma più semplice e primordiale la si sente eccome, la produzione di SEGA prova a fare qualcosa in più che omaggiarla, con discreto successo, riprendendone sia aspetti che quasi definiremmo folkloristici, dal design di alcuni nemici ai canoni nei quali rientrano, con quelli grossi, tosti ma lenti, quelli piccoli e scattanti, i classici bilanciati, sia, più importante, la filosofia di fondo, ovvero la facilità di esecuzione e la difficoltà di padroneggiamento. Poco importa che non ci sia lo scorrimento di cui sopra, se il menare non sia un continuo dispensare pugni, calci e prese lungo una linea affollata di nemici, ma piuttosto il frutto di frequenti incontri che inframezzano l'esplorazione di un quartiere pieno di persone e attività, quindi di vita, quindi di potenziale divertimento e varietà videoludici.

[caption id="attachment_176576" align="aligncenter" width="600"]Yakuza Kiwami screenshot Qualcuno sta per farsi molto male[/caption]

Non deve aspettarsi il giocatore un open world di chissà quale portata: l'ampiezza e la densità di produzioni recenti non le si ritrovano qui, è anche questa la fedeltà all'opera originale di cui sopra, ed è innegabile che tale aspetto possa inizialmente lasciare perplesso colui abituato ormai a mondi di ben altra portata. In realtà questo è solo il primo di una serie di elementi che denunciano in maniera chiara il peso accumulatosi sulle spalle del gioco per via degli anni che sono passati: si ha subito la percezione che Yakuza Kiwami sia piuttosto schematico nel suo incedere, e non solo perché nei primi capitoli le possibilità di esplorazione di Kiryu sono molto limitate; anche più in là nell'avventura sono evidenti una certa linearità ed una scarsa libertà in molte delle missioni che scandiscono la progressione della storia. Poco male in realtà, perché a dare un respiro più ampio e più stimolante alla produzione ci pensano da un lato una storia che, pur riprendendo molti stereotipi del genere, riesce ad intrigare il giocatore, anche grazie ai suoi protagonisti, carismatici, vari, intensi, dall'altro la notevole quantità di attività secondarie, di varietà sorprendente, nei compiti da assolvere così come nei toni: tanto possiamo perdonare ad un videogioco che ha tra di esse lo sfidarsi con dei modellini di auto da corsa.

"Picchiare è realmente soddisfacente solo a tratti"

Quanto regge il gioco dal punto di vista squisitamente ludico sono però il combattimento e quanto ad esso collegato e vien da sé che non essendo questi totalmente convincenti non lo possa essere nemmeno il titolo nel suo complesso. Come detto Yakuza Kiwami è soprattutto un picchiaduro ed è apprezzabile che l'opera di remake non l'abbia reso un action, ma dall'action avrebbe potuto prendere qualcosa, forse la fluidità, sicuramente la precisione. Picchiare è realmente soddisfacente solo a tratti, non perché manchino gli attacchi utilizzabili, che anzi sono molti, alcuni esclusiva di uno dei quattro stili tra i quali cambiare a proprio piacimento, ma perché indipendentemente da essi i movimenti e le azioni sono macchinose, poco reattive. La brutalità degli attacchi speciali è l'unica cosa veramente esaltante di un sistema che per il resto rientra totalmente nell'ordinario, non riuscendo pienamente a restituire la bellezza del menare.

[caption id="attachment_176575" align="aligncenter" width="600"]Yakuza Kiwami screenshot Goro Majima ricorrerà ad ogni espediente per sfidarvi, anche a quelli più esilaranti[/caption]

Nonostante Yakuza Kiwami sia per molti versi una produzione antiquata, che l'opera di remake non è riuscita a svecchiare se non nel buon comparto tecnico, che esibisce poligoni e texture al passo coi tempi, e che ha netti limiti nel suo principale pilastro ludico, conserva dell'innegabile fascino nel racconto di un mondo particolare, certo banalizzando alcuni elementi, come quei cattivi troppo buoni di cui sopra, ma attingendo in maniera avida dalla generosa fonte della cultura giapponese, con tutte le sue ammalianti particolarità, e mettendo in campo numerosi ed esilaranti momenti di bizzarria. Il suo impianto di gioco non esibisce particolari raffinatezze, prova allora a sopperire alle sue mancanze attraverso le piccole cose che costituiscono la sua essenza nipponica; piccole, appunto, bastevoli a farne una produzione di discreto, ma non elevato, livello.

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