Xtremo, la recensione
Con un desiderio di fare azione e arti marziali più che stimabile Xtremo vuole unire tutto, anche gli estremi
“Credi di essere in America? Siamo a Barcellona, le cose non funzionano così!” peccato che Daniel Benmayor non abbia seguito il saggio consiglio del suo personaggio, il più anziano dei capimafia che gestiscono la malavita di Barcellona e si oppongono al giovane Lucer, rampante boss appena tornato dal Giappone intriso di cultura yakuza, ma anche scomposto e dai modi americani pronto ad uccidere prima che a trattare. Così spietato da fregare anche il suo fratello in armi Maximo e farlo fuori. O così almeno crede. Due anni dopo Maximo ancora vivo cerca vendetta.
Sostiene che Maximo, il sicario sul percorso di vendetta sia pieno di vero onore ma in realtà lo fa muovere e comportare senza nessun codice personale; fa arti marziali cercando di coreografarle bene ma poi monta moltissimo le scene creando una confusione insopportabile; è pieno di riferimenti al Giappone ma in realtà il cinema asiatico cui guarda (a parte un po’ di The Raid, come tutti) è quello cinese. Xtremo è un pasticcio gigante di cui si potrebbe (e vorrebbe) comunque godere lo stesso, perché Teo Garcia nonostante si presenti come un Giorgio Colangeli giovane, le arti marziali le fa sul serio, gli stunt li fa sul serio e le sue due controparti (specie Oscar Jaenada) hanno le movenze e la facce giustissime per questo cinema. Solo che Xtremo ce la mette tutta per frustrare e allungare il brodo.
Andrebbe ancora bene, perché in fondo Xtremo è cinema che si vuole divertire, ha un po’ di ironia e si impegna nelle scene d’azione, ma arrivato ad un’ora e dieci, nel momento in cui potrebbe avviarsi al gran finale, fa invece addormentare il protagonista (sic!) aggiungendo almeno altri 20 minuti superflui che ammazzano ritmo a potenzialità.
Un finale buono lascia solo l’amaro in bocca.
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