X-Men: Blue #1, la recensione
Atmosfere classiche recuperate alla grande per i giovani mutanti di X-Men: Blue, di Bunn e Molina
Se il motto di ResurrXion, tacito o esplicito che sia, è back to basics, vale a dire un ritorno alle basi, probabilmente nessuna delle testate lanciate nel corso del cosiddetto rinascimento mutante lo ha preso più alla lettera di X-Men: Blue. I cinque Uomini X originali - Ciclope, Bestia, l'Uomo Ghiaccio, Angelo e Jean Grey - sono di nuovo insieme, per di più nella versione giovanile trascinata nel presente ai tempi del ciclo di Brian Michael Bendis, e di nuovo impegnati nel più tradizionale compito dei supereroi: dare la caccia ai cattivi e proteggere i civili umani dalle depredazioni di supercriminali e mutanti malvagi; in questo caso rappresentati da un altro classico duo della categoria, Black Tom Cassidy e il Fenomeno.
Forse un confronto con la testata gemella di X-Men: Gold può servire a far capire perché la Squadra Blu tagli il traguardo staccata di qualche lunghezza dalla sorella Oro: in Gold, il “ritorno alle origini” è gestito con molta sapienza e sincerità, prendendo in considerazione tutta la travagliata storia passata dei personaggi principali con la promessa di tenerne conto nello scrivere quello che sarà il prossimo capitolo; in Blue c’è più imbarazzo a gestire questa componente, innanzitutto perché la storia passata dei giovani X-Men è piuttosto complicata da gestire. Tutte le avventure delle versioni adolescenti di Scott e compagni giunti nel presente sono state vissute all’insegna del “non ripercorrerò i passi che hanno condotto il mio alter ego adulto su quella strada”, ma questo incastra i personaggi in un limbo di difficile uscita. Da un lato, se i giovani Uomini X dovessero evolversi per ricongiungersi ai loro alter ego adulti, avrebbero perso la sfida. Dall’altro, se dovessero evolversi in qualcosa di troppo diverso, si alienerebbero la fedeltà e la simpatia di chi è affezionato a quei personaggi storici. E così i cinque rimangono tra color che son sospesi, in un “vorrei ma non posso” rivelatore di una stasi che ormai si tramanda di serie in serie.
Grande assente della storia è inoltre quel cambiamento epocale che veniva annunciato come caposaldo di X-Men: Blue, vale a dire il ruolo di mentore di Magneto al posto di Xavier. Il primo fa la sua comparsa nell’ultima tavola del numero, e se un’entrata in scena teatrale a Magnus non si nega mai, è difficile poter bollare la cosa come un colpo di scena, visto che era uno dei cambiamenti più annunciati e anticipati della serie. Sarebbe stato preferibile vedere subito un po’ più di carne al fuoco su questo fronte, invece che usare come climax una notizia che era già arcinota. In breve, Cullen Bunn parte con il freno a mano tirato; molto più convincente è la prova artistica di Jorge Molina e Matteo Buffagni, che dimostrano una gestione coinvolgente e dinamica delle scene di combattimento e una buona caratterizzazione visiva dei personaggi principali.
In conclusione: X-Men: Blue #1 è un piacevole albo di supereroi in vecchio stile e poco più, al momento. Mentre Gold ha idee ben chiare sul pubblico e i personaggi di riferimento (gli X-Men claremontiani e i loro lettori), Blue non sa ancora bene a chi voglia rivolgersi (ai fan degli X-Men originali? Ad appassionati dei cinque giovani dislocati di Bendis? Lettori di ultimissima generazione?) e forse nel non prendere una strada netta fin da subito, lascia scontenti un po’ tutti. Alcune trovate narrative, come la presenza di Magneto, possono comunque rivelarsi vincenti, ma per essere un numero #1, l’investimento di fiducia a priori a fronte di quanto mostrato è un po’ più impegnativo. La serie può decollare, ma almeno a giudicare dal numero #1, parte un po’ in sordina.