X-Men: Apocalisse, la recensione

Siamo finalmente riusciti a vedere al cinema X-Men: Apocalisse di Bryan Singer, ed ecco l'impressione che ci ha fatto l'ultimo film dedicato ai mutanti Marvel

Alpinista, insegnante di Lettere, appassionato di quasi ogni forma di narrazione. Legge e mangia di tutto. Bravissimo a fare il risotto. Fa il pesto col mortaio, ora.


Condividi

Sapete qual è una delle cose più faticose che possa capitare a un recensore, un critico, un tizio che si trova a parlare, per mestiere, di storie? Dover recensire qualcosa che fa fatica a ricordare. Indovinate a chi sta capitando questa spiacevolezza? Vi do un indizio: in questo momento digita, anche se non mentre voi lo state leggendo, ed è andato a vedere X-Men: Apocalisse, l'ultimo film dedicato ai mutanti della Marvel e diretto da Bryan Singer, seguito di X-Men: Giorni di un Futuro Passato.

Ma sarà proprio vera quest'ultima affermazione? Sì, è vera. Dalle nebbie della nostra memoria obnubilata scaturiscono dei riferimenti al secondo film della rifondazione/reboot/prequel della saga filmica degli X-Men. Ricordi di Washington, di un Magneto incriminato, di una Mystica diventata eroina di un'intera generazione di giovani cui la genetica ha donato poteri straordinari, causa di odio e diffidenza da parte degli umani, anche se le cose stanno leggermente migliorando e a Westchester un signore non ancora pelato, ma già su sedia a rotelle, ha fondato una scuola per giovani dotati destinata alla notorietà.

Siamo negli anni Ottanta e un certo Scott Summers, ci dice il film, è un giovane tormentato, dal carattere difficile, vittima dei bulli, ma al contempo spavaldo, coraggioso, piacione con le donne. La cosa avrà la minima importanza per la vicenda? No. Siamo sempre negli anni Ottanta e una certa Jean Grey è una ragazza dai grandi poteri, ma temuta da molti, solitaria per forza, isolata per destino e per scelta. Un tratto personale talmente importante che... niente. Siamo ancora negli anni Ottanta e, al Cairo, c'è una giovane Ororo Munroe che cresce nelle strade, vuole diventare un'eroina, fare il bene dei suoi vessati fratelli mutanti e degli altri poveri orfanelli della capitale egiziana. Un personaggio interessantissimo, per i cinque minuti e due decimi in cui compare, e coerente nell'abbandonare i poveri orfanelli e seguire Apocalisse, un dichiarato tiranno, entrando a far parte dei suoi quattro Cavalieri. Uno di loro è Magneto. Gli altri due sono un tizio biondo che non parla mai e non ha nulla da dire, se non lamentarsi di un'ala bruciacchiata e una bellissima Olivia Munn che non parla mai e non ha nulla da dire.

Forse avete intuito che il film non ci è piaciuto granché. Ma non è mica colpa nostra: è di Bryan Singer, che confeziona un lungometraggio fatto di tante cose, di tanti personaggi, di tanti temi, senza prendersi il tempo di svilupparli tutti. O almeno quelli giusti. Il peggio è che quelli che sceglie di trattare con un tentativo di approfondimento sono quelli già visti, vecchi, già colonna del mito cinematografico degli X-Men. Non proprio una strategia che potesse coinvolgerci. Come poco ci coinvolge la quasi totalità del film che è condotto soprattutto da trovate narrative mediamente scontate e da dialoghi che sfidiamo chiunque a trovare originali. Personaggi con potenziale enorme, un casting che rasenta la perfezione (anche se Sansa Stark nei pani di Jean conferma di avere un carisma decisamente sotto la media), un cattivo più convincente del previsto per minaccia e caratterizzazione, la consueta chimica tra i personaggi già noti e che X-Men: L'Inizio ci ha insegnato ad apprezzare. Il tutto al servizio di una storia che non prende mai, che tiene un ritmo talmente basso nella sua prima metà da rischiare di scoraggiare i meno convinti, che si conclude in odore di luogo comune confusionario e che pone le basi, probabilmente, di una storia già raccontata in X-Men: Conflitto Finale.

Il film non lascia granché traccia nella nostra mente. Vorremmo parlarvi di una regia senza invenzioni, al massimo diligente, di effetti speciali non sempre convincenti, e un paio di passaggi a vuoto di sceneggiatura. Ma non ce li ricordiamo. Gli unici minuti ben impressi, che ancora abbiamo negli occhi, sono quelli che appartengono a un frammento a parte rispetto alla trama principale, una pausa che la narrazione si prende per omaggiare uno dei cicli più importanti dedicati a un famoso mutante di cui non facciamo il nome, con riferimenti visivi e non solo all'immenso Barry Windsor-Smith. Peccato che si tratti di una parentesi e poco più e che non abbia alcun significato nello schema delle cose.

Commento finale al film? Decisamente un passo indietro rispetto a Giorni di un Futuro Passato. La sensazione è che i difetti di quel film siano stati abbracciati ed amplificati, invece che dimenticati e abbandonati alle necessità di una sostanziale bonifica delle storyline. Quanto di buono c'era in X-Men: Apocalisse, si perde nella nebbia.

Continua a leggere su BadTaste