Venezia 69: To the Wonder, la recensione
Complementare e quasi ripiegato sulle idee e i concetti di Tree of life, ma decisamente più rivolto al contingente e al "micro", il nuovo film di Terrence Malick non delude...
La grazia e brutalità, i due istinti fondamentali intorno ai quali The Tree of life faceva scorrere la genesi del pianeta, della vita stessa e in particolare anche le esistenze della famiglia protagonista, sono la dialettica che anima il rapporto della coppia di To the wonder. La ricerca di sentimenti da vivere e di un profondo, è contrapposta alla brutalità della gelosia, del tradimento e del modo di gestire i rapporti. La materialità che contrasta con la spiritualità ovviamente, l'assoluto con il contingente. In mezzo c'è tutto il pianeta, non solo gli uomini, come sempre in Malick.
Il racconto procede come sempre con dialoghi o fuori campo o in controcampo, raramente Malick inquadra chi parla, il suo sguardo sembra arrivare poco prima o poco dopo quel che si sente in un continuo ipotetico fuori sincrono, allo stesso modo in cui spesso, nel mostrare una scena, la macchina da presa si lascia incuriosire più dagli elementi naturali che dagli attori.
Il risultato è un film delicatissimo, un dramma romantico di inarrivabile tenerezza, nel quale si ritrovano i giardini razionalizzati del finale di The New World e i campi di grano al tramonto di I giorni del cielo e in cui la ripetizione e l'ossessione naturalista invece che volare altissimo cercano di scendere incontro alle vicende delle persone, questo lo rende meno clamoroso, audace e totalizzante di The Tree of life, ma in un certo qual senso appare come un'indispensabile seguito che lo completa (se mai ce ne fosse stato bisogno).