Women Talking - Il diritto di scegliere, la recensione

Dietro a Women Talking c'è l'idea di usare un'allegoria che ne contiene molte altre per rappresentare il dibattito femminista odierno

Critico e giornalista cinematografico


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La recensione di Women Talking - Il diritto di scegliere, il film di Sarah Polley, dall'8 marzo al cinema

Un fatto vero prima, un romanzo poi e adesso un film che da quelle due ispirazioni prende il minimo indispensabile per creare qualcosa di proprio, un’operazione di dibattito intellettuale e provocazione. Women Talking è un film che desidera ingaggiare con lo spettatore una relazione complicata, la più complicata possibile. Lo vuole provocare, far arrabbiare, aiutare e ci vuole discutere, anche animatamente, per farlo pensare. Indipendentemente dalla conclusione cui arriverà. Il tema è lo stato del femminismo contemporaneo e la strada scelta per arrivarci è una lunga serie di allegorie avvolte dentro un’allegoria più grande, quella di una colonia che vive come duecento anni fa, ma moderna (siamo nel 2010), in cui le donne scoprono di essere state a lungo drogate e violentate. Tutte. Tengono un voto riguardo cosa fare a questo punto dopo che la legge ha condannato i colpevoli e il risultato è uno stallo. Così un numero ristretto, esponente di tutte le correnti di pensiero, si chiude in una stalla per discutere il da farsi.

È una storia di donne che vogliono cambiare la propria condizione, uscire dal medioevo e magari abbandonare proprio la società fondata agli uomini in cui sono tenute ignoranti (nessuna di loro sa leggere o scrivere), si abusa di loro e non contano granché. Mettere in discussione cosa fare per smettere di subire è anche l’occasione proprio per mettere in discussione le fondamenta della società in cui vivono e rendersi conto che non per forza questa vada accettata. L’ottima idea è che quella società a noi sembra subito sbagliata perché antiquata nei presupposti, ma è chiaro che ogni dettaglio fuori dal tempo e sbilanciato il film lo presenta come qualcosa che esiste anche nei nostri mondi più avanzati, solo in altre fogge.

Sarah Polley scrive e dirige questo film di sole conversazioni (molto fluido e ben recitato) che dichiara subito la propria artificiosità nel momento in cui mette delle contadine ignoranti a cui è stato proibito tutto e che sono cresciute nella violenza degli uomini, ad articolare un dibattito pieno di tesi complesse e sfumate. Lontano dalla grossolanità e dalle sparate che temi complicati sono soliti generare quando si confrontano prospettive diverse, questa conversazione è piena di ragionevolezza, vocaboli complessi e pensieri ragionevoli. È l’idealizzazione di un dibattito. Lo fa per rappresentare come sensate tutte le parti in causa: quella più dura che colpevolizza gli uomini, quella che li assolve perché vittime anch’essi di un sistema che li condiziona e intrappola, chi pensa che occorra sopportare e andare avanti ma anche la conservatrice di Frances McDormand che sotto sotto approva il cambio ma non lo può ammettere e le riformiste. Questo contribuisce a rendere Women Talking un instant movie che fotografa un momento storico tramite le domande che ci si pone oggi. Un film perfetto per chi è aggiornato e probabilmente troppo avanzato per chi è digiuno del dibattito

A deludere semmai è la visione monodimensionale del problema. Il film cerca di non generalizzare utilizzando un tipico artificio da cinema americano, cioè il “diverso”, la persona che non è come gli altri. Ma per l’appunto è un artificio e una foglia di fico. Il film generalizza effettivamente e se non sbaglia nel dipingere una società ingiusta con le donne, semplifica nel parlare e considerare gli uomini come una categoria umana unica, immaginando l’essere maschi come un virus che si trasmette anche ai bambini molto in fretta e dal quale, una volta contaminati, non possono più essere liberati. Così se è interessante il confronto interno alla comunità femminista (e non) e provocatorio al punto giusto il finale (senza contare che ci sono immagini molto ben congegnate come l’equivalenza tra la violenza delle armi e quella della posizione all’interno di una società), Women Talking fa fatica a rinunciare alla sua natura di film militante e così, con un approccio manicheo, spegne un po’ del potenziale riflessivo che invece avrebbe in canna.

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