Woman of the Hour, la recensione: l'esordio di Anna Kendrick è tanto sessista quanto l'industria che condanna

La recensione di Woman of the Hour, esordio alla regia di Anna Kendrick ispirato al caso del serial killer Rodney Alcala.

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La buona notizia è che Anna Kendrick sa girare. Quella cattiva è che si è scelta una sceneggiatura di una pochezza disarmante. Woman of the Hour avrebbe uno spunto niente male per un film femminista. Un serial killer-fotografo, ispirato alla figura autentica di Rodney Alcala, uccide ragazze dopo aver chiesto loro di mettersi in posa per qualche scatto. Intanto un’aspirante giovane attrice (Kendrick) si scontra col sessismo rampante della Hollywood anni ‘70, dove tutto è in mano agli uomini mentre alle donne si chiede solo di essere più carine, infantili e remissive possibile. Quello sguardo omicida con macchina fotografica poteva essere la metafora intelligente per tematizzare il rapporto del femminile con un’industria delle immagini oggettificante e discriminatoria. Ma si trova in un film così ottuso nel suo determinismo di genere da fare il giro e diventare – paradossalmente – degno di quell’industria.

Prima Hollywood capirà che dipingere ogni singolo personaggio maschile come (nel migliore dei casi) un idiota pervertito o (nel peggiore) un maniaco omicida non è un buon modo di far passare messaggi progressisti, meglio sarà per chi crede davvero in una sacrosanta parità di rappresentazione. Prima spariranno queste sceneggiature col pilota automatico, fatte per puro sfoggio reputazionale nei confronti di un pubblico che per fortuna sta iniziando a rigettarle, meno armi si saranno date a chi vuole ridurre il femminismo alle sue manifestazioni più estremiste. Un fidanzato sembra comprensivo? Alla prima occasione ti metterà i bastoni tra le ruote fregandosene del tuo attacco di panico. Un poliziotto ti aiuta? Ti ha dato informazioni sbagliate per prenderti in giro. Un amico sembra volerti bene? Sta solo aspettando l’occasione per farti sbronzare e approfittarsi di te. E così via, senza alcuna eccezione.

C’è una scena in Woman of the Hour dove la protagonista si trova a partecipare a un talk show sentimentale e deve scegliere fra tre “scapoli”, uno dei quali è il nostro killer. Potrebbe essere un momento politico intelligente, dove viene messo alla berlina il sessismo di un ambiente che le chiede di vestire scollata, sorridere con aria scema e “non mettere in difficoltà i ragazzi”. Quando invece giustamente lei inizia a incalzarli, facendo domande volte a mettere in luce le loro opinioni da trogloditi sulle donne, viene fuori che l’unico a dare risposte sensate è quello che le donne le stupra e le uccide, ma che ha l’astuzia e il fascino superficiale per attirarle in trappola. Come a dire – e il film lo dice, lo ridice, non smette mai di dirlo – che non esistono bravi ragazzi, solo mostri più o meno nascosti, e che se qualche maschio esprime opinioni progredite dev’essere perché sotto sotto ha un secondo fine. Per esempio ucciderti...

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