The Woman in Black: la recensione
Non si cancellano ore e ore di Harry Potter con un film solo, ma il tentativo è un inizio più che ottimo e soprattutto un film autenticamente classico...
Per il primo film di Daniel Radcliffe lontano da Hogwarts non si può fare finta che si tratti di una produzione come le altre.
Imbastendo un contesto assolutamente tradizionale, talmente tanto privo di contaminazioni moderne da risultare quasi "nuovo", The Woman in Black cerca di riscrivere una dimensione filmica sul volto di Daniel Radcliffe. Privato degli occhiali e dell'aria da ragazzino, l'attore è qui investito di una maturità reale e posticcia al tempo stesso. Quella vera della barba sfatta e dei lineamenti duri che erano mascherati con sempre maggior fatica nel ruolo di Harry Potter e quella finta degli abiti e del ruolo.
L'horror moderno gioca molto con gli stereotipi classici. Li mastica, li ricicla nel presente, li trasfigura contaminandoli con le idee orientali e li asciuga.The Woman in Black li recupera e basta, senza per questo cercare un effetto di postmodernismo. Sembra infatti non esserci alcuna elaborazione critica dietro il film di James Watkins, solo la volontà di realizzare un classico. Soprattutto, il film riesce nel corso della sua durata a far gradualmente dimenticare la sensazione iniziale, ovvero quella di Radcliffe/Potter. Gradualmente si scorge sempre meno l'aria da eterno ragazzino e sempre più mentre si scende nel film Radcliffe si libera della pesante eredità.
Certo non basterà un film solo a scrollare di dosso il ricordo di ore di magia, ma già è qualcosa.