Wolfwalkers - Il popolo dei lupi, la recensione [2]

Una vera sorpresa, il lungometraggio d'animazione migliore dell'anno. Wolfwalkers è una continua scoperta di invenzioni visive e racconto appassionato

Critico e giornalista cinematografico


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Chi l’avrebbe mai detto che avremmo assistito all’arrivo su AppleTv+ di qualcuno in grado di bacchettare la Pixar e mostrargli come fare meglio uno dei loro film!

Wolfwalkers - Il popolo dei lupi ha il medesimo spunto di Brave e alcune idee di character design in comune. Racconta di una bambina che non vuole far quello che è previsto per le bambine come lei, vuole cacciare come il padre, disobbedendo entra in contatto con un mondo animale, quello dei lupi, che nella sua società è considerato nemico. C’è un’altra bambina (con i capelli rossi liberi e selvaggi) e c’è un incantesimo che la metterà così a contatto con l’altro da dover rivedere il rapporto con la sua famiglia.
Sono solo le premesse però, il resto del film è molto diverso e, tocca dirlo, decisamente più riuscito di Brave. Wolfwalkers è uno dei lungometraggi più semplici e al tempo stesso più potenti dell’anno, una conquista non solo narrativa ma soprattutto visiva.

Lo studio Cartoon Saloon è al quarto lungo e stavolta sceglie di non trattenersi, estremizza il tratto enfatizzando la sua consueta componente spigolosa e geometrica nei personaggi e negli oggetti del mondo urbano, li anima con movimenti netti e poi quando arriva il mondo dei lupi ribalta tutto, disegnando quasi solo linee curve e tonde con movimenti a spirale sinuosissimi (pazzesco la bambina lupo che scappa in un groviglio di capelli rossi come fosse lo zampillìo di una fiamma!). È solo l’inizio di una serie di riferimenti visivi ricchissimi che danno grande profondità ad ogni immagine. Non c’è scena di questa storia molto ordinaria di scoperta dell’altro da sé che non viva di soluzioni poco convenzionali o referenti visivi che gli altri lungometraggi animati sembrano ignorare (incredibili le composizioni delle scene con madre e figlia che dormono contornate da lupi).

Sebbene potrebbe sembrare una rinarrazione di Dragon Trainer, con una generazione più giovane che vuole cambiare il mondo perché andando oltre la paura degli adulti ha scoperto qualcosa che loro non sanno, cioè che l’altro non deve essere per forza essere un nemico, Cartoon saloon ha altre motivazioni. Questo studio irlandese e regista del film Tomm Moore (irlandese anch’esso) mostra non a caso una partecipazione eccezionale all’intreccio di un padre e una figlia da lati opposti di una guerra tra simili, una guerra che ha anche ragioni religiose. E così a differenza di altri film simili Wolfwalkers non ha paura dei sentimenti più duri, del dramma e della grande tristezza.

Questo mondo disegnato con orgogliosa piattezza e prospettive volutamente sbagliate (alle volte vediamo gli ambienti dall’alto ma i personaggi si muovono come guardati alla loro altezza) ha un design poco noto al cinema e alla tv ma in realtà abbastanza conosciuto dai videogiochi indipendenti. Cartoon Studio regala a questo design un’animazione degna di questo nome riuscendo spesso ad unire la grande astrazione a movimenti e dinamiche da cartoon televisivo classico americano, lasciandosi pure ampi margini di libertà per lavorare sui colori, giocare con l’iconografia religiosa e imitare l’animazione giapponese quando serve.

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