Wolfenstein: Youngblood, due Blazkowicz sono meglio di uno – Recensione
Wolfenstein: Youngblood sui fronti di gameplay, level design e grafica non ha nulla da invidiare ai predecessori
Lorenzo Kobe Fazio gioca dai tempi del Master System. Scrive per importanti testate del settore da oltre una decina d'anni ed è co-autore del saggio "Teatro e Videogiochi. Dall'avatara agli avatar".
Viste le premesse, l’apprensione creatasi attorno a Wolfenstein: Youngblood era assolutamente comprensibile, quando non condivisibile e persino doverosa. Del resto, l’idea di uno spin-off, per quanto supervisionato e, di fatto, realizzato dallo stesso team che ha ridato slancio e vitalità alla saga, rievoca tristi ricordi e suscita sinistri presentimenti.
[caption id="attachment_198142" align="aligncenter" width="1000"] Le sorelle possono lanciarsi segnali d’intesa per power-up momentanei, come un incremento temporaneo della barra di salute[/caption]
Il cambiamento più radicale, e a suo modo rivoluzionario, consiste nell’introduzione di due personaggi che si spalleggeranno lungo il corso di tutta l’avventura. All’inizio del gioco, dovrete scegliere chi impersonare tra la combattiva Zofia e la più riflessiva Jessie. Entrambe ben caratterizzate e a loro modo sboccate e ironiche come il padre, all’atto pratico non si differenziano in alcun aspetto, visto che personalizzando il proprio avatar, tramite i menù preposti, accumulando esperienza e crediti, potrete ottenere i medesimi potenziamenti e sbloccare le stesse abilità.
Spendendo la giusta quantità di denaro potrete aumentare l’efficienza di ogni arma, montando nuovi pezzi che ne migliori precisione, danni, cadenza di fuoco.
"Va da sé che trarrete il meglio che Wolfenstein: Youngblood ha da offrire quando supportati a dovere da un altro giocatore"Sul campo di battaglia, questo cambio di rotta si traduce in un ritmo lievemente più ragionato. Se la frenesia fa comunque da padrone, non mancheranno passaggi lievemente più compassati, in cui si preferirà un approccio stealth, all’irruzione ad armi spianate.
Non è raro, difatti, trovarsi in pesantissima inferiorità numerica, minacciati da nemici ben equipaggiati e protetti da spesse armature. I livelli di forza dei soldati in gioco incentivano indirettamente a scegliere un bersaglio piuttosto che un altro, a cogliere di sorpresa certe sentinelle, ad imbastire una strategia più ragionata, soprattutto quando si gioca in cooperazione con un altro utente.
In single player, l’IA che prenderà il controllo dell’altra sorella Blazkowicz si comporta in modo altalenante. Risponderà diligentemente nei casi di azioni combinate, si rivelerà spesso fondamentale in alcune situazioni concitate, tenterà in tutti i modi di rianimarvi ogni volta che andrete al tappeto. Sfortunatamente, tuttavia, non mancano situazioni in cui si distinguerà per l’assoluta inutilità, dimostrandosi restia ad aprire il fuoco, a coprirvi le spalle, a fornirvi fuoco di copertura.
Va da sé che trarrete il meglio che Wolfenstein: Youngblood ha da offrire quando supportati a dovere da un altro giocatore. In compagnia, tra l’altro, si apprezza maggiormente lo strepitoso level design che caratterizza ogni scenario che esplorerete. Grazie al doppio salto, le ambientazioni si estendono in verticale, consegnando nuove strategie offensive nelle mani dei videogiocatori e, cosa ancor più gradita, rendendo l’esplorazione, foriera di innumerevoli collezionabili, più eccitante e divertente che mai.
Come dicevamo, tuttavia, nonostante un gameplay stratificato, sorretto a sua volta da un gunplay assolutamente godurioso; un level design ben strutturato; una co-op che innalza ad un livello superiore l’esperienza, non siamo di fronte ad un gioco perfetto.
Oltre alle già citate problematiche legate all’IA, l’art design non convince appieno. Il character design non è all’altezza delle aspettative e persino alcuni scorci di Neo Parigi lasciano con l’amaro in bocca, gli anni 80 in chiave nazista non spiccano particolarmente per originalità.
[caption id="attachment_198141" align="aligncenter" width="1000"] Se entrambe le sorelle finisco al tappeto, perderete una vita. Ne avrete tre e consumate tutte scatterà il game over[/caption]
Inoltre, ciò che è peggio, la maggior parte delle missioni secondarie non sono affatto incisive. Wolfenstein: Youngblood, difatti, propone ampie ambientazioni progressivamente esplorabili a mano a mano che si ottengono nuovi potenziamenti o oggetti. La componente open world, se da una parte è ben sfruttata per quanto concerne le missioni principali, nelle subquest si tramuta in una prigione fatta di un noioso e frustante backtracking. Nulla di così sconcertante, perché la carneficina che puntualmente scatenerete tiene vivo l’interesse, ma vista la bontà del level design era lecito aspettarsi qualcosa di più.
La produzione targata Bethesda è uno spin-off di tutto rispetto, innegabilmente debitore nei confronti della saga a cui si rifà, ma al tempo stesso innovativo. La componente ruolistica, il level design particolarmente ricercato, indubbiamente firma di Arkane Studios, la cooperazione tra due personaggi, evolvono il gameplay in direzioni sorprendenti, regalandoci un FPS quando mai stratificato, ma ugualmente adrenalinico, genuinamente divertente anche e soprattutto per merito delle sue esagerazioni, dei suoi momenti gore.
Non mancano sbavature, beninteso, ma il nuovo corso di Wolfenstein continua spedito, anche grazie alle sorelle Blazkowicz.