Wolf Children, la recensione
Presentato al Future Film Festival un capolavoro d'animazione che viene dal Giappone. Uno dei film più profondi, toccanti e potenti dell'anno, che usa il fantastico solo per raccontare il reale...
Che non ci si trovi di fronte ad un film ordinario è chiaro fin dai primi minuti. Quando la banale storia d'amore tra una ragazza e un ragazzo conosciutisi all'università è raccontata attraverso la voce fuoricampo di una figlia dei due, con una partecipazione e insieme un lieve senso di affetto verso il ricordo della vita da giovane della madre che costituiscono un'esperienza filmica inedita. Vedere qualcosa, sinceramente, attraverso lo sguardo e le sensazioni di uno dei protagonisti sarà infatti la cifra di Wolf Children per tutto il resto di un film che, dalla storia d'amore dei genitori arriva a raccontare (sempre con voce fuoricampo) la nascita e la formazione dei due figli nati da quell'amore, il remissivo Ame e l'espansiva Yuki (la maggiore è la voce narrante).
Sebbene disegnato senza una sfrenata immaginazione (anzi!), Wolf children è capace di trovare i suoi momenti migliori non tanto in una soluzione visiva nuova, potente e impressionante, quanto in un dialogo, in una confessione o nella maniera minuziosa con la quale anima e rende veri i movimenti e la crescita dei bambini. Sembra di vederli cambiare di scena in scena, diventando sempre un po' più grandi, grazie ad atteggiamenti e mosse perfette.
Com'è facile capire da Wolf children, Hosoda viene dalla scuola Miyazaki (la casa in campagna dove si trasferiscono i protagonisti sembra proprio quella di Il mio vicino Totoro) ma è riuscito a staccarsene quanto basta per trovare una propria autonomia. La trasformazione in animale, già vista in Porco Rosso, qui non è un'allegoria diretta (per l'aviatore era l'ignavia, solitamente attribuita ai maiali) quanto un espediente narrativo per rendere tutto più difficile, il rapporto intenso con la natura non è salvifico ma anzi porta moltissimi problemi, non c'è la sistematica fusione di buono e cattivo ma l'annullamento di un punto di vista che consenta il giudizio. Insomma Hosoda si muove dal cinema di Miyazaki per andare da altre parti e per questo paragonarlo al maestro indiscusso sarebbe ingiusto e penalizzante.