Winning Time: L'ascesa della dinastia dei Lakers (stagione 1), la recensione

Tra l'affresco sociale tipico dell'HBO e l'approccio farsesco del suo produttore esecutivo Adam McKay, Winning Time è una serie acuta e divertente. La recensione

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La nostra recensione dell prima stagione di Winning Time: L'ascesa della dinastia dei Lakers, dal 2 giugno su Sky

Tante critiche sono piovute addosso a Winning Time da parte dei diretti interessati, che la accusano di fornire un ritratto non aderente alla realtà. Capita spesso, quando si parla di storie basate su "fatti realmente accaduti" e il clamore aumenta considerevolmente se si va a toccare un universo molto conosciuto e amato, come in questo caso l’NBA. Senza entrare nel merito delle singole rimostranze, è evidente però come l’assoluta fedeltà a situazioni e personaggi non era certo l’obiettivo principale della serie, che fa piuttosto leva su una forte dose di farsesco e di satira. La cifra stilistica, insomma, più tipica di Adam McKay, regista di film come Vice e La grande scommessa, e produttore esecutivo della serie Succession, qui produttore esecutivo e regista del primo episodio.

Winning Time: il dietro le quinte della dinastia dei Lakers

Tratta dal libro Showtime: Magic, Kareem, Riley, and the Los Angeles Lakers Dynasty of the 1980’s dello scrittore sportivo Jeff Pearlman, Winning Time: L’ascesa della dinastia Lakers è il racconto del decennio (dal 1979 al 1989, l’anno del ritiro di Kareem Abdul Jabbar) che fece dei Los Angeles Lakers una vera dinastia sportiva, con ben 5 titoli conquistati. La prima stagione, composta da dieci episodi in onda dal 2 giugno su Sky, parte nel 1979, dall’acquisizione della squadra da parte del milionario Jerry Buss (John C. Reilly), e dall’arrivo nella rosa di Earvin Magic Johnson (Quincy Isaiah), presupposti fondamentali della cavalcata trionfale che avrà inizio in quella stagione.

Al racconto di fatti ben noti la serie, aggiunge, con un’inevitabile approccio "romanzato", uno sguardo sulla vita privata dei personaggi e sul dietro le quinte del sistema dei Lakers e di tutta l’NBA, il funzionamento dall'interno di una squadra e di una società sportiva. A prendere maggiore spazio sono infatti le difficoltà finanziarie e i metodi poco ortodossi per risolverle, i contrasti tra allenatore/dirigenti, le rivalità all’interno dello spogliatoio.

Un ritratto ironico sullo "Showtime"

La prima puntata si apre con Buss che, parlando direttamente allo spettatore, espone la sua analogia tra il sesso e il basket, finendo con l’annunciare "Sto per comprare un team". Come ne La grande scommessa, in Winning Time sono frequenti i momenti di "rottura della quarta parete" per commentare sarcasticamente le vicende e spiegare i dettagli più tecnici, le didascalie che introducono beffardamente i personaggi, gli intermezzi con materiali d’archivio o scene animate. Alcuni passaggi (come quello in cui i dirigenti dell’NBA non trovano una monetina per decidere a chi tocca la prima scelta del draft) sono così assurdi, eppure appaiono sempre verosimili. Un approccio che, senza mai far venir meno l’ironia, ci pone criticamente nei confronti di un universo verso cui lo sguardo degli autori è disincantato ma mai moraleggiante, in cui si finge di celebrare un’epica epopea per mettere in luce piuttosto idiosincrasie e vizi dei suoi protagonisti.

Raccontare infatti il periodo d’oro dei Lakers vuol dire soprattutto raccontare il momento in cui questo sport si fa business. "Showtime" è il nome dato allo stile di gioco, accattivante e trascinante, improntato dal nuovo allenatore del team Jack McKinney (Tracy Letts), ma anche l’idea di "spettacolo" che vuole portare avanti il suo presidente per far arrivare più gente allo stadio, vendendogli, prima che una competizione, una fantasia, un grande divertimento. Così, la serie mette al centro un passaggio cruciale per l’NBA (e per tutti i grandi sport dove si muovono grandi quantità di denaro), fondamentale per il suo sviluppo futuro.

Winning Time Jerry West

Winning Time ci propone inoltre una nutrita galleria di personaggi, in cui vengono messi in luce gli aspetti più sopra le righe, lasciandoli emergere allo stesso tempo come figure complesse e problematiche. Buss è un milionario interessato inizialmente solo a fare soldi, con notevoli problemi famigliari. Jerry West (Jason Clarke), allenatore della squadra all’inizio della storia, cerca disperatamente quella vittoria del campionato mai ottenuta da giocatore, con metodi spesso bruschi. Pat Riley (Adrien Brody) è un altro ex-giocatore che cerca di rimanere nell’ambiente ma deve accontentarsi di essere speaker alla radio, continuando testardamente nonostante i dinieghi. Al centro poi della serie c’è soprattutto l’incontro-scontro tra Magic Johnson e Kareem Abdul-Jabbar (Solomon Hughes). Il primo è il talentuoso rookie, al primo anno in NBA, pieno di brio e irruenza, che, da una povera famiglia afroamericana, si ritrova in un mondo completamente diverso. Il secondo, all’epoca trentaduenne, è il capitano e stella della squadra, che non accetta che qualcuno gli metta i piedi in testa. La serie mette soprattutto in rilievo il suo rapporto con la fede islamica, per la quale decide di cambiare nome.

Un acuto affresco sociale

Tutti questi elementi trovano perfetta sintesi nei titoli di testa, in cui si alternano immagini d’archivio di partite, di feste sulla spiaggia, di cheerleader, di scontri tra polizia e afroamericani. Titoli molto simili a quelli di un’altra serie HBO, The Deuce, con cui Winning Time condivide anche l’obiettivo di essere un grande affresco della società statunitense dell’epoca, in cui la ricerca dell’edonismo e del divertimento si mescono alle istanze degli afroamericani, alle questioni religiose e a quelle sociali. Sguardo di cui il basket diventa allora perfetta espressione: uno sport che si può praticare sui campi da gioco all’aperto, accessibili a tutti, luogo in cui far affiorare le divergenze tra bianchi e afroamericani, il desiderio di riscatto degli ultimi. Ma anche in quelli dei grandi stadi delle squadre NBA, dove gli interessi economici si mescono con quelli sportivi.

Winning Time, in conclusione, è una storia dai molti personaggi e sotto trame che non perde mai il suo ritmo coinvolgente, dalle tante riflessioni portate avanti con uno sguardo ironico tali da non renderli mai pesanti, che usa il basket come veicolo narrativo, ma anche come strumento per ampliare il suo sguardo e il suo discorso.

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