Windfall, la recensione

Windfall sulla carta vorrebbe essere un thriller da camera ma, nei fatti, è decisamente scarso nel far capire cos’è e cosa voglia dimostrare.

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La recensione di Windfall, su Netflix dal 18 marzo

Esiste un tipo di film, in particolare, che sembra alla portata di molti e che invece è difficilissimo da scrivere e da realizzare: è il film con una sola ambientazione e una manciata di personaggi. Vuoi per l’enfasi sui dialoghi, vuoi per la necessità di creare un ritmo solido e una struttura accattivante (ad evitare la ripetizione) o l’esigenza di avere, qualora i precedenti mancassero, un controllo registico quanto meno esperto - questo tipo di film è un vero e proprio trabochetto che, con l’illusione dell’accessibilità produttiva, fa cascare i più ignari e i meno talentuosi.

Windfall di Charlie McDowell è esattamente questo tipo di film: uno che sulla carta vorrebbe essere un thriller da camera (o meglio “da villa”), fatto di rivelazioni e colpi di scena, e che invece è decisamente scarso nel far capire, nei fatti, cos’è e cosa voglia dimostrare (essere un film autoriale? Un thriller mainstream? Una commedia a tinte dark?). Incapace di creare atmosfere chiare - su cui lo spettatore possa trovare le coordinate di visione, per poi immergervisi - e di costruire svolte narrative interessanti, Windfall, suo malgrado, sembra allora un esperimento tragicomico che si muove a tentoni senza percorrere mai una strada fino in fondo.

Per quanto disastrosamente gestita, una cosa a fuoco all’inizio c’era ed era la componente comica della premessa narrativa. La storia parte infatti con un ladro goffo e impacciato (Jason Segel) che si intrufola nella casa vacanze di un miliardario (Jesse Plemons) e di sua moglie (Lily Collins) e che, una volta beccato dalla coppia, li costringe ad aspettare con lui per quasi due giorni l’arrivo del borsone pieno di soldi che il miliardario sta facendo arrivare dalla sua assistente.

Questo iniziale twist comico, sottolineato da alcuni scambi in cui i due coniugi non fanno che sottolineare, con atteggiamento rilassato, l’inadeguatezza dell’intruso (un Jason Segel stralunato, evidentemente fuori luogo e scarso come ladro proprio perché incapace di interpretarne uno) non viene però mai studiato e portato alle sue conseguenze, perdendosi così dopo pochi minuti per poi riaffiorare nei momenti meno opportuni, quando il tono ormai è già mutato. Quello che rimane è invece un interminabile tempo d’attesa in cui non succede nulla, in cui semplicemente si aspetta questo borsone mentre Charlie McDowell ci butta lì, con dialoghi di una banalità estrema e una staticità visiva soporifera, l’idea che tra la coppia possa esserci un dissapore che in qualche modo dovrà venire a galla (e che invece è già tutto lì, c’è poco da aggiungere). 

In qualche modo Windfall prova quindi a essere accattivante, forse pensa pure di esserlo - e il finale in questo senso rivela l’arroganza di chi pensa di non doversi spiegare al suo pubblico, tipica degli inesperti - ma da ciò che i personaggi dicono e fanno si deduce una mancanza di idee e di cose da dire inequivocabile. “Tu hai tutto, io non ho niente”, dirà con rabbia il povero Jason Segel al ricco Jesse Plemons (l’unico attore capace di dare emozione partendo dal niente, un vero fuoriclasse). Un’affermazione di una banalità estrema e che rimane sospesa nell’aria. A questa seguirà l’unica verità che ci pare certa, ancora dalla bocca di Segel nel rispondere a una confessione della Collins, e che involontariamente riassume il senso dell’intero film: “non me ne frega un cazzo”.

Siete d’accordo con la nostra recensione di Windfall? Scrivetelo nei commenti!

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