Will & Harper, la recensione: un'amicizia che è tutto ciò che l'America non riesce a essere

Il road movie degli amici Will Ferrell e Harper Steele è un approccio freschissimo, intenso e divertente all'esperienza trans nell'America di oggi

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Si potrebbe ricostruire il senso di questo road movie a due anche solo dai testi delle canzoni che lo accompagnano: I got you di Sonny & Cher ("penso io a te"), Fade Into You dei Mazzy Star ("voglio tenere la mano che è dentro di te"), Shelter from the Storm di Bob Dylan ("vieni dentro, ti darò riparo dalla tempesta"), The Weight della Band ("togliti questo peso, mettilo su di me"). Tutto parla della voglia di accogliere, consolare e proteggere chi si sente senza difese, senza un posto nel mondo. Ancor più importante, come dice America di Simon & Garfunkel ("partimmo a cercare l'America.."), la voglia di interrogare un paese che oggi si chiude pericolosamente a una parte dei suoi figli, negando quei principi democratici che gli hanno permesso di raccontarsi come patria del Sogno.

Nel 2022 durante il lockdown Will Ferrell riceve una mail inaspettata dal suo amico e collaboratore Andrew Steele, grande penna del Saturday Night Live e mente dietro alcuni degli sketch più famosi del comico: negli ultimi mesi Steele ha affrontato il processo di transizione. È una donna, e il suo nome (ispirato non casualmente all'autrice del grande romanzo antirazzista Il buio oltre la siepe) è Harper. Ferrell ha un'idea: Will e Harper partiranno per un viaggio attraverso gli Stati Uniti, durante il quale (tramite il dialogo e le domande) la loro amicizia si rafforzerà alla luce del coming out di lei, e dove però scopriranno anche che "il Texas non è Hollywood" - non tutti gli americani sono pronti come Ferrell a rispettare la validità delle persone trans.

Will & Harper è un film in cui succede poco, praticamente solo due amici che chiacchierano, scherzano e riflettono su quanto la vita di una dei due sia cambiata dal momento della transizione: in meglio, per il sollievo di abbandonare finalmente una maschera (cosa che due veterani dello showbiz capiscono anche troppo bene). E in peggio, perché ora tutto ciò che prima sembrava normale assume un'aria minacciosa - di insicurezza (nel proprio aspetto, nel "passare", nel deadnaming) quando non proprio di pericolo. C'è una parentesi straziante in cui Ferrell e Steele vanno a socializzare nei bar del Midwest amatissimi da Harper, e ci si rende conto che non solo lei è a sentirsi a disagio, ma che probabilmente senza un amico cisgender e famoso al suo fianco si sentirebbe addirittura minacciata.

In parte Will & Harper adotta la strategia empatica già sfruttata da tanto cinema queer per conquistare il pubblico mainstream: un personaggio cis, mediando per lo spettatore più chiuso, chiede alla sua amica trans tutto ciò che chi non ha affrontato la transizione non può sapere; offre un modello positivo di convivenza e comprensione; e mostra col suo esempio come l'affetto possa non cadere vittima dell'ignoranza.

Non per questo però Will & Harper è un film "morbido" o che vuole piacere a tutti. Si fanno nomi e cognomi di governatori e politici che negli ultimi anni hanno cercato di limitare i diritti trans; si racconta di qualcuno che preferisce comprare una casa isolata nel deserto della California pur di poter vivere come donna lontano dal giudizio altrui; si ride tantissimo (sono pur sempre due grandi comici quelli nella macchina) ma altrettanto spesso si piange o si rabbrividisce, constatando quanto resti lontana la conquista di una società davvero al riparo dall'odio per il diverso. E allora si riparte "a cercare l'America".

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