Who is America? 1x05, la recensione

La nostra recensione del quinto episodio di Who is America?, di Sacha Baron Cohen

Critico e giornalista cinematografico


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Alla quinta puntata Who Is America? centra l’episodio perfetto in poco meno di 30 minuti impeccabili in cui sembra che nessun segmento sia un riempitivo ma tutti possano dirsi pienamente riusciti anche se non clamorosi come certe punte viste nel corso della stagione.

Questo è, nel migliore dei casi, quel che questo nuovo show di Sacha Baron Cohen vuole essere, il ritratto sfaccettato di un paese in cui l’incastro tra politica, fervore ideologico e media crea mostri come (forse) da nessuna altra parte. Mostri che sono tali soprattutto davanti alle videocamere, che proprio in presenza di esse tirano fuori il peggio di sé, specie se hanno l’impressione (che Sacha Baron Cohen riesce sempre a dargli) di trovarsi in una situazione sicura, in cui le loro idee sono avallate se non proprio auspicate.

È così che nel primo segmento il comico con il suo costume da carcerato appena uscito di galera si presenta da un DJ della Florida per fargli sentire una sua compilation EDM realizzata con tutti suoni registrati in galera (accoltellamenti, urla, vassoi spaccati sulla testa di altri detenuti ecc. ecc.). Come sempre il punto è spingere all’estremo la situazione, oltre il tollerabile ma per gradi, arrivando piano piano a far ammettere alla vittima che quel che sta ascoltando è fortissimo. Il DJ procurerà all’ex carcerato una serata che andrà anche bene e nella quale lui aizzerà la folla facendogli dire di tutto, presi dall’entusiasmo del DJ set. Addirittura con la sua sfacciataggine Sacha Baron Cohen farà ammettere a delle ragazze procurate dal DJ di essere lì per fare sesso con chi mette la musica.

Nessuno pensa a niente, nessuno pensa davvero a quel che dice Sacha Baron Cohen dietro i suoi costumi. Presi dalla presenza di videocamere, esaltati dall’essere parte di una trasmissione televisiva e concentrati nell’interpretare un ruolo per se stessi (quello che sanno gli consentirà di rimanere in video) non pongono attenzione a nulla che non sia l’apparire. Nessuno pensa a niente quando il DJ gli fa ripetere slogan discutibili, presi dalla foga della pista e dall’eccitazione della serata. Nessuno dice: “Fermi tutti con questa cosa non sono daccordo” perché in quelle situazioni non sono abituati a farlo e su questo gioca Who Is America?

Per questo forse è ancora più clamoroso il segmento successivo in cui il “giornalista” complottista pro-Trump che intervista politici per dimostrare come i media stiano dando addosso al presidente e svelare complotti, intervista il responsabile della campagna elettorale di Trump. Spalleggiati l’un l’altro i due arrivano a sostenere di tutto, che Trump sia un vero femminista, che non sia razzista e via dicendo. Tutto con esempi, termini e generalizzazioni sbagliatissime che tuttavia vengono cavalcate.

La domanda più frequente che il programma pone non è quindi “Chi sono queste persone?” ma “Cosa accade quando si accende una videocamera da rendere così ingenua una persona?”. Come è possibile che un imprenditore della Silicon Valley (così fiero nel dirsi di successo da far pensare che non lo sia molto) accetti di farsi photoshoppare mentre dà da mangiare a dei bambini africani nello sketch con Gio Monaldo? Com’è possibile che mentre lo fa accetti anche di mettersi in costume da bagno, con degli sponsor e un pezzo di una bambola nelle mutande per ingrossargli il bozzo?

Da quando la televisione ha iniziato ad abusare dei format reality ci siamo spesso chiesti come mai funzionassero, su cosa si basassero e cosa implicassero. Who Is America? per primo riflette su come ci cambia essere ripresi, come polarizza le nostre opinioni e il modo in cui le rappresentiamo e ci rappresentiamo.

Alla fine è quindi quasi meno clamoroso degli altri (ma molto riuscito) il segmento del sergente Morad dell’antiterrorimo israeliano in cui, come già visto, addestra un razzista della lobby pro-armi a difendersi dall’arrivo dei terroristi. I segmenti di Morad hanno fatto vedere di certo di peggio ma qui c’è da notare che il gioco di Sacha Baron Coen di cercare di far fare alle vittime le battute, funzionando lui come spalla, riesce alla perfezione. Come del resto è una creazione intelligente e fantastica l’immagine dello youtuber con lo sceriffo che parlano degli antifascisti d’America come un male paragonandoli a quelli degli anni ‘30 in Germania.

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