White Men Can't Jump, la recensione

Remake di Chi non salta bianco è, White Men Can't Jump non ha niente dell'originale se non una vaga idea e sembra non averlo capito

Critico e giornalista cinematografico


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La recensione di White Men Can't Jump, il remake di Chi non salta bianco è in uscita su Disney+ il 19 maggio

In questi ultimi dieci anni abbiamo imparato che non c’è niente di sbagliato nel rifare un film. Abbiamo visto remake inventivi, geniali, sovversivi e completamente diversi dagli originali. Certo, decidere di rifare un film che è fondato su un preciso momento storico attualizzandolo è più difficile. E certo, rifare un film che viveva proprio del rapporto tra bianchi e neri in America (e nel basket) in quel momento storico è un po’ rischioso. Ma non ci sono dubbi che rifare un film che non aveva niente di eccezionale nella trama, nella struttura e nella concezione e tutto di buono nell’esecuzione, nella fattura e nella recitazione (c'erano Wesley Snipes e Woody Harrelson), cioè esattamente in quelle componenti che il remake dovrà sostituire, non ha nessun senso.

La storia di White Men Can't Jump è sempre quella di due giocatori di strada di basso livello, un afroamericano e un bianco. Quest’ultimo dà l’impressione a tutti di non saper giocare e usa quel pregiudizio per sfidare i più arroganti scommettendo su di sé. Vincendo queste scommesse e vivacchia con quei soldi. Quando i due si metteranno insieme proveranno prima a truffare altri e poi a combinare qualcosa di più serio.

Per pura casualità White Men Can’t Jump (che ha tenuto il titolo americano e non la traduzione con cui fu distribuito in Italia, Chi non salta bianco è, a dimostrazione di quanto poco tenga alla parentela con il precedente) poteva anche essere l’occasione per fare un buon film di sport, amicizia o di contrasti. Invece Calmatic (regista di videoclip e pubblicità prima che di film) sceglie di farne una storia che nella messa in scena asseconda una sceneggiatura che calma tutto, che trasforma un film di contrasti e cinismo in uno di amore e tolleranza, che appiattisce il discorso razziale sugli stereotipi e non urta niente e nessuno.

Non solo non siamo più nelle strade ma nelle palestre (e pure quando i personaggi vanno in strada non si sente mai l’aria del basket urbano e selvaggio), non solo è un mondo di atleti neri allenati da bianchi e uno (unica idea interessante) di persone che vorrebbero vivere con il basket anche se sanno che non arriveranno mai all’NBA (anche per questo il finale è così sciocco da dare l’idea di non aver capito il film cui appartiene), ma proprio le scene di pallacanestro sono giocate in modi ordinari, senza personalità, senza restituire la brutalità del gioco a livelli non professionali o anche soltanto l’eccitazione della vittoria e della sconfitta.

Tuttavia, se proprio si dovesse dire quale sia il vero e ultimo fallimento di questo nuovo White Men Can’t Jump (frase che non viene nemmeno mai pronunciata, anche perché manca tutta la parte sul non saper schiacciare), è l’idea che il riscatto afroamericano sia verso se stessi, che nonostante esista un pregiudizio verso l’atleta bianco (come nell’originale), poi questa questione incida poco e i personaggi abbiano ognuno il proprio trauma da superare, marginalizzando completamente tutto quello che era il rapporto con le loro fidanzate, le vite, le aspirazioni e i tantissimi fallimenti amari. Di amaro questo film non ha niente perché cerca proprio un’altra visione del mondo e dei rapporti: buona, pacifica, attutita. Ma allora: cosa lo stiamo guardando a fare?

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