White God, la recensione

Troppo determinato ad abbracciare tanti generi diversi e decisamente troppo serioso per la propria trama White God affonda anche le sue sparute buone idee

Critico e giornalista cinematografico


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Nessuno sembra voler bene ai cani in Ungheria. Solo Lili, attaccatissima al suo Hagen, farebbe di tutto per loro. Intorno a lei c'è un padre divorziato, a casa del quale viene scaricata, che non vede l'ora di liberarsi dell'animale, vicini di casa pronti a denunciarlo perchè bastardo, un canile meschino e astanti che non hanno cuore.

Come fosse un film adolescenziale, White God cerca di aggiornare il mito di Lassie, quello di un cane e la sua piccola padrona contro il mondo, come se fosse determinato a celebrare la fedeltà canina al di là di tutto, la povera bestia abbandonata contro il volere della padrona che vive mille avventure per poi tornare clamorosamente a casa. Invece non è così. Il film cambia radicalmente genere nell'ultimo atto e diventa una paradossale guerra.

Decisamente più accattivante a raccontarsi che a vedersi, White God vorrebbe essere dalla parte degli animali ma solo fino ad un certo punto, è ammirato dall'equilibrio di Gli uccelli di Hitchcock ma anche dall'horror puro. Non rinuncia a niente Kornél Mundruczò, non si priva di nessuna variazione o spinta. La commedia e il dramma, l'horror e il fantastico, White God sembra voler unire tutto in una parabola che non decolla davvero mai.

Troppo infantile per essere davvero credibile nella sua svolta horror, troppo naive nel manipolare la suspense, la paura e il sangue per impressionare. Pieno di piccoli stimoli ed ottime idee, White God non le concretizza davvero mai. L'esempio migliore è quello dell'immagine, molto usata nella promozione, della città deserta e dell'orda di cani intorno all'unico essere umano, un'idea fortissima ma che vive da sola, senza riuscire mai a creare un'armonia con il resto del film. Nel film insomma non c'è una vera storia di amicizia e fedeltà, nè una vera storia di ribellione e violenza, non c'è l'insopprimibile desiderio di libertà nè l'affetto di una ragazza contro tutti.

I suoi momenti migliori White God li raggiunge nelle grandi corse di Hagen (interpretato da due cani identici), nella maniera in cui trova un piccolo respiro di libertà nel grande sforzo dell'animale che corre a perdifiato in strade illuminate solo da un'impossibile luce che può appartenere unicamente alla troupe del film (una deroga al realismo del film che non stona ma anzi dona alla storia un tono sognante più che adeguato).

I suoi momenti peggiori invece, e non sono pochi, li tocca ogni qualvolta tenta di dare serietà alla parabola del cane e della padrona. Avesse avuto il coraggio di un tono ironico forse White God sarebbe riuscito ad essere più serio di quanto non lo sia in realtà in questa maniera.

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