What We Do in the Shadows 1x01 "Pilot": la recensione

Il film di Taika Waititi, What We Do in the Shadows, diventa una divertente comedy in stile falso documentario sui vampiri: la recensione del pilot

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FX
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L'idea è semplice, ma geniale. Si prende lo stile del mockumentary, quindi il falso documentario, e lo si applica di prepotenza sul genere dei vampiri. Da questa intuizione Taika Waititi, regista di Thor: Ragnarok, nel 2014 tirava fuori il film What We Do in the Shadows. Ora riprende quella stessa idea per trarne una serie comedy distribuita da FX. Il minor minutaggio si adatta se possibile ancora meglio a quella idea, e tutti i pregi del soggetto ne escono esaltati. Se vi piace questo stile, che in televisione ormai è familiare grazie a The Office, Parks and Recreation o Modern Family, questa nuova comedy promette di diventare una piccola chicca, al pari del film da cui è tratta.

Il punto di vista delle telecamere si sposta su una casa in cui vive un gruppo di vampiri. C'è Nandor, un vampiro che ha discendenze ottomane e ritiene di essere il leader del gruppo; c'è la coppia formata da Laszlo e Nadja, quest'ultima invaghita di un umano che potrebbe essere la reincarnazione di un suo vecchio amore; c'è il famiglio di Nandor, Guillermo, continuamente vessato dal suo padrone; e infine c'è Colin, un vampiro energetico, che risucchia la voglia di vivere dalle sue vittime semplicemente ammorbandole di chiacchiere. I vampiri ci raccontano la loro vita, la loro routine, la difficile sopravvivenza per le creature immortali in un 2019 che certo non è facile da dominare come i secoli passati.

Non sappiamo se Taika Waititi – anche regista del pilot – avesse in mente The Office o le altre serie mockumentary quando ha concepito il progetto. Ma viene da sé che i prodotti sono abbastanza simili. Si mette una telecamera di fronte ad un soggetto, e lo si invita a raccontare la propria vita, all'interno del proprio habitat. Che sia l'ufficio o una casa, anche una abitata da vampiri, si scivola sempre verso le stesse condizioni e gli stessi caratteri. I personaggi di What We Do in the Shadows sono figure abbastanza misere e mediocri, inadeguate e ridicole. Si mettono su un piedistallo che deriva loro da tutta la tradizione sovrannaturale e il fascino che la figura del vampiro dovrebbero ispirare, ma tutto, dall'imbarazzo diffuso, ai dialoghi, alle loro azioni e considerazioni, ce li svela come patetici. E, proprio nei loro difetti, scopriamo di esserci interessati immediatamente a loro, ansiosi di scoprire la loro prossima figuraccia.

Jamaine Clement, che interpreta sempre su FX il personaggio di Oliver in Legion, torna a scrivere il progetto – che aveva ideato insieme a Waititi – e si vede. Per chi ha visto il lungometraggio, questa serie ne rappresenta un degno e fluido seguito ideale. Ci sono gli stessi tempi comici, le stesse atmosfere, lo stesso tipo di scrittura. Che funziona. Come dicevamo, forse addirittura meglio rispetto al film, proprio perché lo show vive di improvvise intuizioni e momenti brillanti, e si presta di meno ad un intreccio più elaborato. Il film originale riprendeva vari riferimenti dall'immaginario vampiresco, soprattutto legato ai film, cosa che anche la serie fa. Per fare un esempio, il nome di Nadja sarebbe ispirato all'omonimo film del 1994 di Michael Almereyda, ma viene citato anche Intervista col vampiro.

Ovviamente si tratta di riferimenti seri che non fanno altro che aumentare il senso di scollamento rispetto alla comicità involontaria di questi personaggi. La parodia sui vampiri non è una novità, esiste da decenni, l'hanno portata avanti autori come Roman Polanski e Mel Brooks, ma il linguaggio da mockumentary è la vera intuizione che traghetta tutta la narrazione verso nuove possibilità.

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