What Remains: la recensione

Miniserie poliziesca targata BBC: un'angosciante e coinvolgente riflessione sulla solitudine

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Negli ultimi anni la trattazione di temi come la solitudine o la distanza incolmabile tra gli individui hanno, casualmente, accomunato una serie di piccoli ottime produzioni inglesi. Ciò che più è interessante in queste serie è il percorso che sistematicamente porta questi argomenti dagli estremi al centro della storia e all'interno di situazioni normalmente ascrivibili a generi molto particolari. È avvenuto con la fantascienza di Black Mirror, è avvenuto con il genere zombie di In the flesh, ed è avvenuto ancora di recente con una miniserie poliziesca intitolata What Remains. Trasmessa in quattro episodi dalla BBC, la serie segue le indagini sul ritrovamento, a due anni dalla morte, di un cadavere nella soffitta di una palazzina londinese. Un prodotto non eccellente ma decisamente valido, che continuamente innalza la sua tematica principale al di sopra delle vicende narrate per andare a compiere un'interessante riflessione sulla solitudine.

What Remains muove a partire da una situazione classica e pienamente inquadrata nel genere poliziesco, una premessa che, dall'ampia panoramica riservata ai co-protagonisti (più volte la scrittura si allontana dall'indagine in sé per andare a raccontarci le vicende dei vari personaggi) all'attenta caratterizzazione dell'agente che conduce le ricerche (non solo soggetto passivo e semplice strumento narrativo ma vero protagonista insieme agli altri) ci richiama alla mente il sorprendente Broadchurch con David Tennant andato in onda qualche mese fa. Laddove però la serie di ITV allargava il proprio sguardo ad un'intera comunità giocando, anche visivamente, con gli imponenti scenari e i campi lunghi, What Remains precipita la propria visione nei claustrofobici e soffocanti ambienti del palazzo nel quale si è consumata la tragedia.

Al di là delle singole storie raccontate, storie di morbose possessioni, di torture psicologiche e di inganni, What Remains riconduce tutti i propri fili allo sguardo spento e sofferente della vittima della storia. Vittima non solo in quanto uccisa all'inizio della storia, ma soprattutto perché dimenticata, perché abbandonata da viva, quando viene insultata, offesa e lasciata a morire lentamente (e interiormente) nel proprio appartamento, e da morta, quando nessuno apparentemente si accorge della sua scomparsa per due anni. Tematica forse troppo urlata, troppo sottolineata, troppo rimarcata, ma mai trattata con retorica o falso buonismo (a certi ricatti morali le serie inglese difficilmente cedono): presentata con freddezza e crudeltà, come un dato di fatto da accettare e contro il quale si può fare ben poco.

L'opprimente messa in scena gioca e dialoga quasi attivamente con la tematica principale della serie, presentando scenari angosciosi, freddi, angusti, in cui le urla degli inquilini si fermano alle porte dei vari appartamenti mentre nella tromba delle scale tutto è silenzio e indifferenza. La fotografia gioca spesso con gli effetti della messa a fuoco, lasciandoci in vari momenti spiazzati di fronte all'immagine sbiadita che abbiamo di fronte e lasciando che a poco a poco qualcosa avanzi verso di noi permettendoci finalmente di comprendere. Il cast infine, in cui forse spiccano a livello di fama solo Indira Varma, che presto vedremo in Game of Thrones, e David Threlfall (Shameless) funziona in tutte le sue componenti. In definitiva un buon prodotto che, anche per la scarsa durata, merita una visione.

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