Westworld 1x10 "The Bicameral Mind" (season finale): la recensione

Finale di stagione per Westworld: rivelazioni e capovolgimenti nella conclusione di una delle serie più attese degli ultimi anni

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Spoiler Alert
Se è vero che noi siamo le storie che raccontiamo, allora Westworld si è mantenuto fedele fino in fondo al suo cuore tematico. Chiamiamolo, questo cuore, il gradino più alto della piramide, la stanza segreta del labirinto, la porta della cantina che si apre su nuove possibilità. L'attesissima serie della HBO si è manifestata fin da subito come una stratificata e brillante riflessione sullo storytelling, su ciò che rende una catena di eventi degna di essere seguita e raccontata, sul dialogo silenzioso tra narratore e narrato. La piramide, come scopriremo, è in realtà un cerchio, che ci riporta a noi stessi, alla piena coscienza della nostra esperienza da spettatori. A quel punto, per noi come per Dolores, sarà la nostra visione a creare il mondo e, da questo momento in avanti, a definirlo.

Cos'è questo loop? Un sogno e una canzone. Il margine di libertà rappresentato dalle strofe diverse, che vengono ricondotte all'ordine e alla tranquillità dell'ascoltatore da un ritornello familiare. Sempre lo stesso, sempre destinato a ripetersi. Più esaltante, allora, è giocare con le aspettative, far saltare infine con un colpo di pistola la puntina che graffia il disco sul grammofono e vedere semplicemente cosa succede. Passo dopo passo, Westworld ha costruito in dieci episodi il suo finale. Tutto sommato prevedibile, per chi anche si fosse vagamente imbattuto in considerazioni in rete o l'avesse capito da solo. Quasi tutto come previsto, peraltro senza calcare eccessivamente la mano sui plot twist, ma liquidando nella prima parte dell'episodio la situazione pronti per costruire il finale esplosivo.

Quindi, in effetti l'uomo in nero è davvero William. La teoria delle timeline, già integrata con la rivelazione di Arnold e Bernard, trova maggiore applicazione nella conferma che il personaggio di Ed Harris, il terribile pistolero in nero, è in effetti la versione degradata e ossessionata di quel giovane che trenta anni prima aveva scelto un cappello bianco al suo ingresso nel parco. Considerazioni che abbiamo più o meno nascosto nelle recensioni precedenti, ancora una volta Westworld conferma il suo desiderio di giocare con le apparenze attraverso simboli e illusioni. Dal cappello bianco al cappello nero, e tutto ciò che a livello di avatar e di considerazioni videoludiche questo comporta, ma anche altro. Ed è qui che torniamo alle solito discorso sullo storytelling.

Come il singolo sceneggiatore-scienziato può creare il background di un personaggio e dargli spessore, così il parco di Westworld, con la sua mitologia interna e i suoi misteri, è la grande creatura che ci è stata messa di fronte – con le sue zone d'ombra – fin dall'inizio. E il modo di raccontarlo si è adeguato a questo. Se Dolores può avere dei buchi di memoria, se Bernard può avere dei blackout visivi che gli impediscono di vedere un uomo in una foto, allora la costruzione al montaggio della storia della serie può "prenderci in giro", giocare con le nostre percezioni, con i linguaggi ai quali siamo abituati. Se Dolores grida a gran voce che qualcuno sta venendo a salvarla, e dopo un secondo vediamo lo stacco su William che la cerca, siamo portati a credere in una simultaneità che invece non esiste.

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Il gioco è questo e poco altro, Westworld lo ha fatto fin dall'inizio. I creatori del parco come gli sceneggiatori di una serie tv, i visitatori come gli spettatori di una serie. Il trauma di Arnold, trapiantato con ferocia nel background di Bernard, non perde nulla della sua efficacia narrativa, perché, per ciò che ci interessa, la simulazione di una coscienza diventa coscienza di per sé. Ford lo ha chiarito molto tempo fa, non sono le passioni o le scene d'azione, sono i dettagli a rendere grande una vicenda. Cos'è la storia di Maeve, se non un'immensa deviazione narrativa che deve solo servire a scatenare il cliffhanger? La rivelazione per cui lo stesso comportamento del robot era stato programmato da qualcuno non fa altro che adeguarsi a più livelli a questa lettura. Le piccole storie concepite, da scienziati e sceneggiatori, per servire la storia più grande.

A proposito, la storia di Maeve si conferma l'anello debole di quest'annata. C'è un momento, per la verità anche divertente, in cui Felix dubita della propria umanità. Beh, magari, avrebbe giustificato le azioni di questo personaggio. Ma in generale è tutta la situazione ad essere troppo assurda, tra una squadra di sicurezza formata da agenti troppo incompetenti, una sorveglianza che non esiste e un numero di scienziati presenti al momento opportuno sempre precisamente adatti a servire gli scopi della storia. Tutta l'empatia che dovremmo provare per Maeve ne viene soffocata, e l'unica cosa che stuzzica la nostra attenzione è la precisazione "Park 1" nel biglietto.

La stessa rivelazione sulla vera natura del labirinto tutto sommato era abbastanza intuibile da tempo. Un luogo della mente, dove ottenere la percezione di sé, che rende liberi gli uomini e i robot dai loro creatori, a loro volta divini e umani. Tutto sommato nulla di troppo originale dal punto di vista delle tematiche, ma come al solito Westworld trova il modo di veicolare i propri temi in modo intelligente e stimolante. Merito di un cast che, lo sottolineiamo per l'ultima volta in questa stagione, ha svolto un lavoro egregio. Evan Rachel Wood ha dominato, ma naturalmente anche Anthony Hopkins e Ed Harris hanno svolto un immenso lavoro.

Quanto ai personaggi interpretati da questi ultimi, la serie non si risparmia qualche svolta finale. Impossibile definire Ford come un buono, anzi, ma è evidente che le sue motivazioni non fossero egoistiche. C'è molto di sotterraneo e nascosto negli eventi della stagione, quasi tutti riconducibili alle sue azioni. A quanto pare diamo l'addio al personaggio e all'attore, ma in una serie di questo tipo i margini per costruire un ritorno a sorpresa ci sarebbero. Quanto a Ed Harris, o meglio a Jimmi Simpson, il cambiamento francamente è troppo precipitoso. Sì, trent'anni sono molti, ma è l'ultimo "giovane William" che vediamo a stonare un po' rispetto al percorso seguito fino a quel momento.

Cosa aspettarci dalle seconda stagione, che arriverà molto probabilmente nel 2018? Un nuovo equilibrio, innanzitutto. La stagione si chiude nel mezzo dell'azione, con tutti i personaggi appesi a un filo e i robot in piena rivolta. Impossibile fare previsioni, ma si dovrà giungere a una sorta di compromesso per poter ripartire con nuovi elementi. Qui si chiude la prima stagione di Westworld, probabilmente la serie più attesa degli ultimi anni. Sopravvivere alle proprie attese non era semplice, e già per questo la serie della HBO merita grandi elogi. Era stata promessa una produzione immensa, dai grandi valori, dalle grandi tematiche, e possiamo ritenerci soddisfatti per ciò che è emerso. In fondo la stessa critica ad alcuni elementi della serie non fa altro che confermare gli standard elevati a cui ci stiamo abituando. Si tratta solo dell'ultimo in ordine di tempo di una serie di progetti che hanno innalzato le possibilità del piccolo schermo, che sempre più spesso si pone come baluardo delle mitologie e dell'epica moderna.

Considerazioni sparse:

  • La puntata si chiude sulle note di Exit Music dei Radiohead, che abbiamo già ascoltato quest'anno in Black Mirror. A questo punto sono significative le parole: "Wake from your sleep, the drying of your tears, today we escape".

  • Inizia il conto alla rovescia per veder commercializzato il labirinto giocattolo.

  • Citati i dinosauri che oggi sarebbero ossa e ambra. Riferimento a Jurassic Park, sempre di Crichton?

  • Quindi, Samuraiworld?

  • La musica preferita del figlio di Arnold, suonata al grammofono, è Reverie di Debussy, che già avevamo ascoltato nella stagione.

  • Westworld è una serie che ha vissuto molto negli spazi tra un episodio e l'altro. Esiste un universo parallelo in cui, come su Netflix, tutte le puntate sono state rilasciate insieme, e non possiamo fare a meno di chiederci come sarebbe cambiata l'esperienza da spettatori.

  • Avete seguito la prima stagione dello show? Diteci cosa ne pensate nei commenti.

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