We. The Revolution, sentenze taglienti come lame di ghigliottina - Recensione
La storia e il ruolo di un giudice durante la Rivoluzione francese: la recensione di We. The Revolution
Il divario e lo stridore tra vita privata e professionale si fanno sentire sin da subito, quando abbiamo a che fare con nostro figlio minore, colpevole di aver bisticciato con altri bambini e aver rotto un dente a uno di questi in una rissa, nata dal fatto che proprio noi abbiamo ormai la nomea di ubriacone tra il popolo. La nostra reputazione agli occhi delle fazioni, della giuria e del popolo rivoluzionario, ma anche di coloro che sono a loro volta nostri giudici, i componenti della nostra famiglia, è costantemente messa in discussione. Ogni singola azione, per non parlare dei verdetti che pronunceremo in aula, genererà forti conseguenze. Sentiremo farsi sempre più pesante la responsabilità quando visualizzeremo gli indicatori di soddisfazione delle varie parti, fuori e dentro le mura di casa.La questione si farà ancora più seria quando arriveremo a uno dei nodi principali della storia: l’introduzione della pena capitale, tramite ghigliottina.
Il gameplay è piuttosto complesso da comprendere a fondo, soprattutto qualora non masticassimo benissimo una delle tre lingue disponibili (l'italianon non è presente): le parole sono davvero importanti, comprendere il loro significato e tutto il contorno implicito nel testo dei vari dossier è fondamentale. Occorre tracciare i collegamenti corretti e non cadere nelle trappole che ci possono condurre a porre domande sbagliate durante il processo. Avremo a disposizione una serie di interrogativi da sbloccare e un certo numero di errori da commettere, raggiunto il limite non potremo più cercare indizi. Logica e freddezza dovranno essere le migliori alleate per non perdere punti di reputazione, in maniera abbasta realistica.
[caption id="attachment_194739" align="aligncenter" width="1920"] Nei processi occorre impostare una corretta strategia[/caption]
We. The Revolution non è un gioco al quale è facile appassionarsi, talvolta il peso di ogni singolo dettaglio rompe il collegamento con un giocatore al quale è chiesta molta concentrazione, né all'immersione contribuisce la rappresentazione del periodo storico, confinata, salvo sporadici riferimenti, dentro le mura del tribunale. Di fatto il gioco ci guida a controllare sempre più spesso il grado di relazione con le fazioni e con i famigliari stretti, riducendo fiducia, affetti e popolarità a meri punteggi e statistiche. Le fredde logiche di gameplay e l'arida voglia di raggiungere la presunta vittoria, dettata dai numeri, tengono sotto scacco il nostro modo di approccio, banalizzando in un certa maniera il quesito fondamentale dell'opera: "da che parte vuoi stare?". Fare delle scelte, seguire il buon senso e l’etica o farsi influenzare dai propri obiettivi personali, provocherà comunque sempre un piccolo conflitto interno, ed è dove il gioco ha la sua ragion d'essere.